venerdì 11 gennaio 2008

uno due tre prova sse sse

Ho provato a ricominciare un sacco di volte, non so se questa sarà quella buona. Il post del ritorno fa davvero paura, e io, che ho l'ansia da prestazione anche nel buttare la spazzatura in cortile, lo stress diciamo che non lo reggo mica bene.
In questo mese e passa non sono certo sparita dalla rete, come dimostra l'iperattivismo di addictions e qualche commento che ho lasciato qui e là; il motivo per cui ho pensato di smettere per qualche tempo di scrivere qui non era né calo d'ispirazione né rigetto della blogosfera, ma rifiuto di utilizzare il blog in modo improprio.


Quand'ero piccola ero molto più intelligente di quanto sia ora. Cioè, in pratica ero intelligente quanto adesso, ma andavo alle elementari. Il che rendeva tutto confuso, ma anche parecchio interessante. Nemmeno allora la vita aveva uno straccio di senso, ma subivo ancora l'autorità degli adulti che inspiegabilmente si comportavano come se il senso esistesse e fosse lampante, direi ovvio: dato che ero piuttosto ottimista, mi piaceva pensare che avessero ragione, per cui mi buttavo a pesce sulle cose che mi propagandavano, tipo gli ideali o la religione.
La religione, appunto. C'era l'ora di religione a scuola, c'era il catechismo in Chiesa. Folgorata da un documentario sulla Madonna che era apparsa a gente malvestita in qualche posto del cazzo, avevo deciso che mi sarei fatta suora. La maestra si preoccupò e chiamò i miei genitori. Rimasi molto delusa dal mancato entusiasmo nei confronti della mia precoce vocazione mistica: perché San Francesco sì e io no? Non era forse ipocrisia la loro?
Non importa: la mia vocazione religiosa durò lo spazio di un documentario. Mi annoiavo. Le storie tratte dalla Genesi erano piene di ingiustizie, quelle tratte dal Vangelo incoerenti (non ho mai capito cosa, esattamente, dovevano insegnare), e comunque era ovvio che non si trattava della stessa religione. Dato che a quei tempi avevo una discreta autostima, sapevo che il problema era della Bibbia, non certo mio. Insomma smisi in fretta di occuparmi di quella roba, e mi dedicai alla mitologia greca che era assai più logica, e se non altro piena di sesso.

Però Dio è un pensiero che ha il suo fascino, diciamocelo. Mi piaceva parlare con Dio. Innanzitutto era un'ottima scusa per parlare da sola (sempre meglio di quella scemenza da nevrotici dell'amico immaginario); ma soprattutto, mi dava molto conforto l'idea che ci fosse qualcuno super interessato a me, a cui non dovevo spiegare alcunché dato che era già nella mia testa, e pure molto contento che io gli raccontassi ogni minimo dettaglio della mia banale vita.
Avevo un gran bisogno di esprimermi e mezzi ridotti per farlo; c'era qualcosa di enorme dentro di me, ma non capivo cosa fosse - un'anticipazione, un destino, un'idea rivoluzionaria, un talento? Non riuscivo a condividerlo con quei ritardati dei miei coetanei né a spiegarlo agli adulti. Avevo solo sette anni, dopotutto.
Poi accadde qualcosa di troppo brutto perché Dio lo permettesse, quindi il capitolo fu chiuso definitivamente.

Il bisogno di farsi ascoltare, per tirare fuori quella roba incredibilmente meravigliosa e potente che covavo dentro, però rimase. Provai a scrivere i miei pensieri in un diario, ma era l'apoteosi della noia. Scrivere era faticoso e monotono, e non c'era nemmeno un Dio a leggermi! Rassegnata, ripiegai sui libri, dato che in essi trovavo spesso un'eco della roba enorme e meravigliosa di cui sopra.
Ci vollero degli anni prima che scoprissi il magico mondo degli amici di penna. L'amico di penna è anche meglio di Dio, perché ti risponde! Ogni mese spedivo in giro una quantità esorbitante di pagine fitte di menate; scrivevo dei miei pensieri, e dei banali dettagli della mia noiosa vita da adolescente problematica, come se fossero degni di essere raccontati, come se in essi si trovasse il codice col quale decifrare il mistero di quella cosa meravigliosa e importante in cui risiedeva, era indubbio, il significato della mia vita.

Milan Kundera, in "L'insostenibile leggerezza dell'essere", scrive:
"Tutti abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere potremmo essere suddivisi in quattro categorie.
La prima categoria desidera lo sguardo un numero infinito di occhi anonimi: in altri termini, desidera lo sguardo di un pubblico.
[...] La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti. Si tratta degli instancabili organizzatori di cocktail e di cene. Essi sono più felici delle persone della prima categoria le quali, quando perdono il pubblico, hanno la sensazione che nella sala della loro vita si siano spente le luci. Succede, una volta o l'altra, quasi a tutti. Le persone della seconda categoria, invece, quegli sguardi riescono a procurarseli sempre. [...] C'è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata. La loro condizione è pericolosa quanto quella degli appartenenti alla prima categoria. Una volta o l'altra gli occhi della persona amata si chiuderanno e nella sala ci sarà il buio. [...] E c'è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori."
"L'insostenibile leggerezza dell'essere" è un romanzo a tesi, in cui ogni personaggio è dimostrazione di una riflessione di questo tipo, anzi sembra creato da tali riflessioni. I "sognatori" sono, a scanso di equivoci, degli imbecilli; difficile provare simpatia per i personaggi che li rappresentano: figure di una debolezza repulsiva, che dedicano la loro esistenza a compiacere il giudizio immaginario di una figura immaginaria.

Dall'altra parte del blog ci sono tutti i tipi di sguardi. C'è il pubblico anonimo, c'è la cerchia di amici (virtuali), c'è la persona amata e c'è il Lettore Immaginario, il lettore totale, quello che capisce cosa esattamente pensi ed è straordinariamente interessato a quanto hai da raccontare.
Ci sono alcuni blog che esistono esclusivamente in funzione autobiografica. Non c'è in questi né umorismo né poesia: vi si assiste al contrario allo spettacolo, imbarazzante poiché incomprensibile, di persone che giorno dopo giorno raccontano nei minimi dettagli i loro viaggi per andare al lavoro, o cosa si sono portate nel cestino del pranzo, o l'ultimo aperitivo con le amiche o la cronaca della gita fuori porta - ma serissime eh, senza alcun intento di narrare altro che quello.
Non capisco chi legge, ma comprendo chi scrive. Scrivere ènominare, e nominare è dare vita; salvare dall'indistinto e dichiarare degno di memoria, degno di esistenza. Forse, così come l'incertezza di quest'epoca è riuscita a raggiungerci in ogni ambito del quotidiano fino a spingerci a barricarci dentro i nostri corpi, così l'insensatezza della nostra vita non si placa più "semplicemente" con una creazione (di se stessi, intesa come realizzazione personale/professionale; di altri - un figlio; artistica), ma è necessario nominare e nominare ancora tale creazione, descriverla, ricordarla, ripeterla, affinché il suo nome non si confonda nel brusio circostante.
Il disincanto e l'iper-razionalizzazione della civiltà lasciano scoperte vaste zone che ci affrettiamo a riempire con residui di pensiero magico (o infantile), che procede per simboli e allegorie. Nulla, per questo modo di pensare, è insignificante, poiché ogni dettaglio ha un corrispettivo nel disegno cosmico: il più stupido inconveniente accadutomi stamattina anticipa o esemplifica in modo diretto il mio destino complessivo. Il che significa, di conseguenza, che controllando gli stupidi inconvenienti riuscirò a controllare il mio destino; e narrando gli stupidi inconvenienti, nominandoli, dipanerò la matassa della mia insulsa vita.


Ho smesso di scrivere nel tentativo di sfuggire a questa logica, in un momento in cui ero troppo fragile per resisterle. Frequento un ambiente nuovo, abito in una casa nuova, lontano da famiglia e amici: i lettori di questo blog mi conoscono da più tempo di qualsiasi persona io frequenti faccia a faccia in questi giorni! Ed è ovvio che quando del tuo compleanno si ricordano prima e meglio gli amici virtuali - Milla, Francesco, Gualtiero... quanto mi avete fatta gongolare! grazie! - di quelli reali, il rischio di confondere i due piani è tangibile. Avrei potuto mettermi a raccontare i cazzi miei nell'inconsapevole (mica tanto) tentativo di dare dignità e significato alle mie sfighe, e ciò sarebbe stato non solo lesivo della mia dignità, ma ingiusto nei confronti di qualcuno e tremendamente noioso o fastidioso per tutti gli altri.


Insomma, queste erano le motivazioni della mia assenza e le riflessioni che ho fatto nel frattempo - cioè, una parte, che sennò facevo concorrenza a Suzukimaruti. Comunque ora sono quasi le sei del mattino, e probabilmente è l'insonnia ormai cronica a farmi straparlare. Ok, diciamo che come post-del-rientro può bastare!