domenica 14 dicembre 2008

texas chainsaw massacre

L'università, dicevo.
I tagli sono sbagliati, questo penso sia evidente. I cambiamenti si fanno con gli investimenti, non con i tagli. Con cambiamenti generazionali, riforme amministrative, riforme della didattica, democratizzazione degli organismi decisionali interni agli atenei, apertura all'estero/esterno, la valutazione e la qualità. Se togli le risorse, hai voglia a dire che sopravviveranno solo i migliori: sopravviveranno i più adatti, che nel sistema attuale significa semplicemente i più raccomandati e i più mafiosi.
E' altrettanto evidente il disegno di svalutazione e di riduzione dell'istruzione pubblica, così tout court, a favore di una privatizzazione del comparto scolastico e dell'alta formazione. Che di nuovo, chissà se è di per sé un male; ma in questo Paese, significherebbe semplicemente istruzione per ricchi e ignoranza per poveri, tutto qui.

D'altro canto, l'università è già per ricchi. Non conosco ragazzi che siano riusciti a concludere il proprio percorso universitario senza un pesante contributo dei genitori - anche chi era beneficiario di borse e altri aiuti. Nessuna borsa di studio può mantenerti. E se inizi a lavorare - non per comprarti l'ipod o andare ai concerti, ma per pagare l'affitto e la spesa - abbandonerai presto l'università, è chiaro. I sostenitori dei tagli parlano di rendere competitivi gli atenei; ma a l'unico criterio a cui pensano le famiglie è la vicinanza dall'abitazione, dato che troppo poche possono permettersi di pagare un affitto ai figli, le misure di sostegno allo studio sono patetiche e nessun lavoretto serale può bastare per pagare l'affitto e vivere in città - un posto letto in una camera doppia, a Milano, costa dai 250 ai 400€ mensili di affitto, per dire.
L'eventuale chiusura le sedi distaccate e gli atenei minori e periferici significherà per molti lo svanire di ogni opportunità di iscriversi all'università.

Ci importa? Dipende dal nostro quadro di riferimento. Secondo me l'università non può essere un diritto di tutti. Perché dovrebbe? L'università serve a prepararsi per determinate professioni, molto specializzate, e non è possibile ovviamente che tutti possano farle. Né si può continuare con la favola dell'università come luogo di produzione e diffusione di cultura fine a se stessa: sì, certo, studiare apre la mente, ma anche leggere o pensare. Non posso ammettere all'università una persona che semplicemente vuole farsi una cultura, così come non posso offrire all'ASL interventi di mastoplastica additiva. Vuoi una cultura? To', questa è una tessera della biblioteca: divertiti.
Idem con i tagli ai dottorati eccetera. Sì ok, il turn over, i giuovani e coraggiosi ricercatori - nelle facoltà scientifiche, forse. Dove sono io (e sono una privilegiata per quanto riguarda opportunità di accesso a non raccomandati e basso livello di baronie) il turn over avviene nel 90% dei casi con gli eredi: bel guadagno. Ogni anno la mia facoltà fa entrare 24 nuovi dottorandi - ma per dio, a cosa diavolo serviranno mai 24 dottori di ricerca in sociologia? Grazie al cielo molti non si iscrivono o rinunciano al secondo anno, altrimenti la competizione per gli assegni di ricerca sarebbe una roba da guerra civile. Dei sette colleghi del mio anno, so già cosa accadrà dopo: una rimarrà in università a fare carriera, una andrà all'estero, uno ha trovato già ora un lavoro vero in università non lo si vede mai, due torneranno al lavoro statale per cui sono in aspettativa, uno farà ancora qualche anno di precariato e poi il padre ricco gli troverà lavoro presso qualche amico, e io, beh, tornerò a girovagare senza scopo come facevo prima. Risultato: 1 su 8. Prendine direttamente tre, allora, selezionali molto più severamente, da' a tutti la borsa di studio, e vedi di formarli bene, farli lavorare, creare dei veri ricercatori.

Questi discorsi non sono amati dai miei cari compagni di lotta. Che sono, inutile dirlo, per la maggior parte provenienti da facoltà, come la mia, che al di fuori dell'università non valgono nulla - filosofia in testa. Che portano avanti una protesta tra le più corporative io abbia mai visto, ma affermando di lottare per la cultura eccetera. Sono dei bravi ragazzi, si fanno un mazzo tanto a furia di mailing list e assemblee in giro per l'Italia, ma sono pochi quelli che conoscono l'autocritica. Delle mie opinioni non faccio mistero, e forse qualcuno si chiede se sia lì per schernirli o per sbaglio; ma al contrario, sono lì perché non vedo alternativa*.
Una volta tolti questi soldi, nessuno li restituirà all'università; quindi bisogna prima bloccare questa legge, poi pensare ai contenuti. Triste, ma temo sia esattamente così.

E ora, a sorpresa e per salutare, un link bellissimo: il Ministero della Pubblica Distruzione.




* tranne quella di battersene il belino, opzione che sta risalendo la classifica.

venerdì 12 dicembre 2008

pian piano

A Milano piove ormai da quattro anni, ma se non altro ho smesso di fumare. A dire il vero oggi ho comprato un pacchetto da 10, ma solo per l'insofferenza causata dalla partecipazione al corteo studentesco. Ehi, sembrerebbe che qui si parli sempre di manifestazioni, altro che "sono troppo elitaria per unirmi ai movimenti di massa". Ma c'è stata tutta questa roba dei tagli all'università e sono due mesi che siamo in agitazione - almeno, loro, io mi sento abbastanza serena. Però una volta lì, sai com'è, ti senti un po' una merda se non vai anche tu all'assemblea, incontro con gli studenti, volantinaggio o boh. Fondamentalmente un modo come un altro per integrarsi in un gruppo. Magari andrò anche alla cena di Natale. E un altro anno è passato.

C'è un'etichetta qui che si chiama "una casa per un anno". Nel frattempo è diventata una casa per un anno e mezzo. Oltre i simpatici personaggi di cui ho già presentato agre descrizioni, si sono aggiunte:
1. la provinciale ma wannabe-milanese che - ma perché sprecare parole per descriverla, quando esiste l'ottima espressione "attention whore"
2. il veneto, un ragazzo buono come il pane ed esperto di Linux, che giustamente se n'è andato dopo un paio di mesi, sostituito da
3. il sardo canterino, a quanto pare artista, pittore o salcazzo, appassionato di musica pop brutta che fa ascoltare a tutta la casa per ore e ore e giorni, sottolineando le accattivanti melodie con il suo continuo canticchiare, fischiettare, mmm-are; tutto ciò in falsetto E stonando.

A questo punto l'anno e mezzo possiamo dire che è durato abbastanza.
Quindi da gennaio mi trasferisco. Una casa tutta mia. Ecco, magari l'etichetta sarà quella.

Non so, penso che tornerò a scrivere qui sopra. Cagatine come questa, magari, ma speriamo anche di no - ma avevo bisogno di rompere il ghiaccio.

mercoledì 30 aprile 2008

su Nazirock (e il 25 aprile)

La settimana scorsa sono andata al corteo del 25 aprile.
Non ho "fatto" il corteo, eh. Sono rimasta ai margini. Dato che sono arrivata presto, ho ascoltato per un po' i discorsi ufficiali, poi sono tornata indietro fino a incontrare il corteo antifascista, quello dei centri sociali per intenderci, e ho camminato un po' anche con loro.
Non andavo a una manifestazione da anni, almeno quattro penso; non per caso, mancanza di voglia, ma volontariamente, dato che negli anni le mie idee sono cambiate (affilate, spero) e quella della piazza non è più la mia dimensione.
Quella no, e allora quale? Quando un sacco di tempo fa ho realizzato che no, non potevo più aderire a movimenti di massa, comandare dirigere o ubbidire, ovviamente mi s'era già un po' posta la questione: sì ok, e quindi? Ti dai al taoismo? Ti metti a coltivare il tuo giardino? Non puoi, finché una parte fondamentale di te stessa si basa sulla convinzione che non si può essere felici sull'infelicità altrui, che solo stando bene tutti puoi stare bene te.
Dato che non vuoi più fare la rivoluzione, l'unica cosa su cui e con cui puoi agire è te stessa, il tuo corpo. Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo, diceva; l'esempio. Il campo di battaglia si sposta nella tua esistenza quotidiana, al tuo comportamento, ai tuoi pensieri; una visione tra il solipsistico e il messianico, lo ammetto. Così la vita diventa una cosa anche abbastanza faticosa, perché non puoi permetterti di fare le cose che non vuoi che gli altri facciano, dal momento che se tu le facessi allora anche gli altri sarebbero autorizzati a farle, e tu non lo vuoi. Quindi ti tocca essere vegetariana anche se la carne era l'unica cosa che mangiavi e le verdure ti fanno sommessamente schifo, ti tocca boicottare questo e quello, ti tocca raccogliere la cartaccia, e informarti, ed essere gentile, ma soprattutto ti tocca pensare, pensare, continuamente pensare, e che palle santo cielo, che roba logorante. Che poi non sono mica molto brava a pensare, questo l'avrete anche capito da soli.
Inoltre se vivi in questo modo non è più tanto facile cercare l'appartenenza nelle manifestazioni e nei collettivi. Ci ho provato, per un po' mi sono anche divertita, però poi basta, eh. Sarà che ho conosciuto le persone sbagliate, o semplicemente è una modalità d'interazione che non fa per me; sarei anche propensa per la seconda, dato il mio livello di misantropia.
Certo, poi sento lo slogan più banale e mi viene la pelle d'oca, sento la peggiore versione di Bella Ciao e mi metto a piangere, quindi emotiva lo sono rimasta, figurarsi; ma non ho realmente bisogno di semplificazioni. Non ho realmente bisogno di buoni e cattivi, di Palestina libera, di servi dei servi dei servi, io ho bisogno di gente che mi aiuti a pensare; di gente che capisca le implicazioni di ciò che va dicendo, che si attrezzi di conseguenza, non di gente che passa 10 anni a urlare polizia assassina e poi quando la polizia uccide mi cascano dal pero e chiamano lo Stato-mamma (una cosa a caso delle molte), perché se ti va bene lo Stato-mamma allora ti comporti in un altro modo, se invece non ti va bene allora non ti deve andare bene mai, cosa diavolo significa questo rimpiattino? Sono stanca di giocare, non ho bisogno di sentirmi nella moltitudine, non ho bisogno di voi.

Sono andata alla manifestazione del 25 aprile perché, nonostante tutto questo, sarei cieca a non vedere che ce n'è bisogno. Nel momento in cui i diritti elementari vengono attaccati, nel momento in cui le istituzioni si avvicinano a valori e posizioni marcatamente fasciste, nel momento in cui senti che veramente va tutto a puttane e non hai molto a cui aggrapparti per arginare la paura di vivere qui, il ricordo della gente che in situazioni infinitamente peggiori ha detto O la va o la spacca e ci ha provato ed è andata abbastanza bene, può essere un punto fermo.
Eio ha ripreso un pezzo di Paolo Nori in cui mi sono molto ritrovata (a parte il tizio russo che non so chi sia):
Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta la parola antifascismo e la parola resistenza sembravan due parole cariche di retorica e vuote di significato. Forse per via che di resistenza e di antifascismo, da un certo momento in poi, si sentiva parlare solo nei discorsi ufficiali e uno quando sente un discorso ufficiale gli vien l’impressione che valga la legge formalizzata dal matematico e logico Aleksandr Zinov’ev, legge che dice che tutto quel che è ufficiale, è falso. Dopo poi questi ultimi dieci anni, nei discorsi ufficiali nessuno ne parla più, è come se avessero riacquisito verità e significato, la parola antifascismo e la parola resistenza.
Vero: quando ero piccola il 25 aprile erano i temini e le poesiole sulla libertà (quando ancora la libertà era qualcosa di nostro, vi ricordate?) che poi venivano premiati dall'ANPI. Erano vecchi con cappelli da alpini (ma senza penna) e scampagnate su bricchi verso posti mai sentiti nominare e subito dimenticati. Poi è diventato una cosa da ricordare, da difendere. Pazzesco.


Ieri ho visto il documentario Nazirock, di Claudio Lazzaro. E' stata una visione molto istruttiva e interessante. Forse perché, a parte qualche leghista incontrato a Milano, qualche cattolico, e due parenti molto antipatici, io gente di destra non ne conosco: è proprio difficile, per origini familiari, luogo di nascita, traiettorie personali. Insomma, avevo voglia di stirare, uno dei coinquilini ha comprato il dvd del documentario, mi son detta "guardiamolo, ci sarà da farsi almeno due risate".

A me l'operazione non è sembrata corretta. Basta parlare delle dissolvenze: una canzone pro-ultras e viene inframmezzata con il servizio del telegiornale sulla morte di Raciti, le affermazioni revisioniste di alcuni intervistati sfumano sulle immagini dei superstiti (e dei cadaveri) di Mathausen... sì, sì per carità, ok, ma non è solo questo, il fascismo non è (stato) solo quello e non puoi ridurre a Hitler e al genocidio questo movimento (ridurre nel senso della reductio ad Hitlerum, ovviamente). Il documentario si focalizza solo sul razzismo nazista e sull'apologia della violenza, senza per nulla approfondire tante altre questioni ugualmente problematiche: il ruolo della donna, i diritti civili, il rapporto con la Chiesa, insomma quelle cose che già ora sono molto presenti e molto preoccupanti, non Predappio e le cose gravi sì ma folkloristiche. Perché le cose sono collegate, e il primo è la base del secondo; è molto inutile che li accusi di antisionismo quando non ti accorgi della loro gimnofobia; è molto facile e divertente prendere il primo pischello burino tanto ingenuo da farsi intervistare e far risaltare la sua totale ignoranza della storia, ma non è molto produttivo.

L'operazione è controversa perché i mezzi che ha usato avrebbero potuto mettere in cattiva luce anche un centro sociale di sinistra (per non parlare di un campo scout). Basta scegliere accuratamente le canzoni, basta fare le giuste contrapposizioni con i giusti servizi del TG1... E poi, maledizione, il TG1? Da quando il TG1 è diventato la voce dell'informazione obiettiva? Secondo il TG1 Ferrara è una vittima del linciaggio delle donne bolognesi, e il Papa sarebbe stato ucciso dagli studenti della Sapienza. Sono questi i nostri baluardi della democrazia? Belin, siam messi bene, non c'è che dire.

Loro cantano "vi massacriamo di botte perché abbiamo l'onore e voi siete dei subumani"... be', e io allora? Io cantavo della bomba proletaria e di "ora prendo su un pesante veicolo a vapore e vi vengo addosso uccidendovi tutti", se non ricordo male, e di sette bicchieri che brindano a Lenin, di scendere in strada e prendere a martellate i borghesi fino a spedirli sotto terra, e cantavo anch'io del valore e del coraggio, di vendetta e di morte, di coltelli e di dinamite. Di più: forse Lazzaro non lo sapeva o non gli importava, ma la canzone "Frana la curva" sui cui si sofferma sfregandosi le mani, quella che dice frana, la curva frana / sulla polizia italiana / frana, la curva frana / su quei figli di puttana, la canzone che Lazzaro, da infame (eh scusate, qui ci vuole) ha il buon gusto di sovrapporre alle immagini (del TG1, ancora) degli scontri di Catania che portarono alla morte di Raciti, insomma quella canzone NON è degli Hobbit, non è assolutamente dell'alternativa, ma anzi è una canzone degli Erode, un gruppo punk di sinistra. Qui infatti viene cantata durante un concerto all'ORSO - il centro sociale di Milano sgomberato due anni fa, quello di Dax per intenderci - in onore di una manifestazione antifascista; non è poi tutto così semplice come si vorrebbe, vero?

E, a proposito, Lazzaro: nemmeno io riconosco Israele. O meglio, ti risponderei proprio come quel Maurizio Rossi (un uomo maledetto dalla natura con il volto più odioso del cosmo, tra l'altro): sì, lo riconosco nel senso che c'è, ormai c'è e cosa ci vuoi fare? Nulla, tranne insistere affinché gli israeliani riconoscano a loro volta il diritto a esistere dei palestinesi. Ah, e la penso come loro sugli americani; e quindi? No America, no party?
Ma cos'avete, siete tutti abbonati de "Il Foglio"?

Parliamo piuttosto di cosa fanno, di come si comportano, di come descrivono il loro comportarsi, parliamo della violenza agita e non di quella in musica. Parliamo dei pestaggi contro i compagni che si vantano di fare, parliamo di questo santo cielo, ma parliamone seriamente. Parliamo del fatto che nessun militante di sinistra difenderebbe l'operato delle Brigate Rosse, tutt'al più potrebbe dire "avevano giuste idee, ma non hanno saputo come metterle in pratica"; questi no, questi sono orgogliosi. Questi si portano in giro un folle, Andrea Insabato, quello che ha messo la bomba al "manifesto" nel 2000, e ora grida istericamente DOBBIAMO AMARE I NOSTRI FRATELLI!, e LA NOSTRA PATRIA! LA NOSTRA FEDE! LA NOSTRA FEDEE!, con questi ragazzi che lo applaudono come un eroe ("ferito ma non fermato"); hanno a capo Roberto Fiore, "orgoglioso" di essere stato un "impresentabile", di aver patito l'esilio in nome delle sue idee - ma sta in realtà parlando dei suoi anni di latitanza a Londra, quelli che s'è fatto perché è stato condannato a cinque anni (poi tre e mezzo in secondo grado, condanna infine caduta in prescrizione) per banda armata.

Insomma, Nazirock è un prodotto approssimativo, che spara contro la Croce Rossa (le inquadrature di ragazzi terroncelli e grassocci che cantano Ragazzo dell'Europa dai bei capelli biondi / erede di un passato di sangue e fedeltà fanno inevitabilmente ridere, però siamo un po' dalle parti del Bagaglino, eh) e non viene mai al punto. Il punto non sono le facce buffe di Mussolini, per quanto siano invero estremamente buffe, il punto non sono le canzoni che inneggiano alla violenza: il punto è la violenza. La violenza simbolica e fisica, il VALORE della violenza, il valore dell'autoritarismo e della dittatura; il valore del patriarcato, del maschilismo, del nazionalismo e del sangue; il valore del disprezzo nei confronti del diverso, quel diverso da "rigettare" come il corpo rigetta gli elementi estranei; e l'antiabortismo, e il cristianesimo integralista; e tutte le cose, ripeto, per cui venerdì mi sono svegliata con il bisogno di andare al corteo del 25 aprile, che non si sa mai.

Ma Nazirock è un'occasione sprecata anche per riflettere sugli opposti valori della sinistra. Sull'ipocrisia e sulla confusione di chi schifa il patriottismo a casa propria e difende acriticamente il nazionalismo degli altri, chi fa un pensierino sullo sbattezzarsi ma ammira le tradizioni religiose degli altri, e su come questa confusione celi un altro tipo di razzismo, meno pericoloso ma che saremo prima o poi costretti ad affrontare.
La solidità della destra, il fascino della destra, sta proprio nella loro capacità di affrontare qualsiasi cosa con lo stesso sguardo, e non di procedere caso per caso; la loro ideologia è facilmente trasferibile e mobile. Io non voglio avere certezze di quel genere, ma il ragionamento politico dovrebbe comunque partire da una base solida, che la sinistra, soprattutto quella scalcagnata che c'è adesso, non sembra riuscire a contornare con precisione; e gli effetti sono le disparate opinioni sul Tibet, o operazioni come Gaza vivrà, e mille altre cose che appaiono torbide o semplicemente approssimative.
Ok, fine. Direi che il pezzo è completo.

venerdì 11 gennaio 2008

uno due tre prova sse sse

Ho provato a ricominciare un sacco di volte, non so se questa sarà quella buona. Il post del ritorno fa davvero paura, e io, che ho l'ansia da prestazione anche nel buttare la spazzatura in cortile, lo stress diciamo che non lo reggo mica bene.
In questo mese e passa non sono certo sparita dalla rete, come dimostra l'iperattivismo di addictions e qualche commento che ho lasciato qui e là; il motivo per cui ho pensato di smettere per qualche tempo di scrivere qui non era né calo d'ispirazione né rigetto della blogosfera, ma rifiuto di utilizzare il blog in modo improprio.


Quand'ero piccola ero molto più intelligente di quanto sia ora. Cioè, in pratica ero intelligente quanto adesso, ma andavo alle elementari. Il che rendeva tutto confuso, ma anche parecchio interessante. Nemmeno allora la vita aveva uno straccio di senso, ma subivo ancora l'autorità degli adulti che inspiegabilmente si comportavano come se il senso esistesse e fosse lampante, direi ovvio: dato che ero piuttosto ottimista, mi piaceva pensare che avessero ragione, per cui mi buttavo a pesce sulle cose che mi propagandavano, tipo gli ideali o la religione.
La religione, appunto. C'era l'ora di religione a scuola, c'era il catechismo in Chiesa. Folgorata da un documentario sulla Madonna che era apparsa a gente malvestita in qualche posto del cazzo, avevo deciso che mi sarei fatta suora. La maestra si preoccupò e chiamò i miei genitori. Rimasi molto delusa dal mancato entusiasmo nei confronti della mia precoce vocazione mistica: perché San Francesco sì e io no? Non era forse ipocrisia la loro?
Non importa: la mia vocazione religiosa durò lo spazio di un documentario. Mi annoiavo. Le storie tratte dalla Genesi erano piene di ingiustizie, quelle tratte dal Vangelo incoerenti (non ho mai capito cosa, esattamente, dovevano insegnare), e comunque era ovvio che non si trattava della stessa religione. Dato che a quei tempi avevo una discreta autostima, sapevo che il problema era della Bibbia, non certo mio. Insomma smisi in fretta di occuparmi di quella roba, e mi dedicai alla mitologia greca che era assai più logica, e se non altro piena di sesso.

Però Dio è un pensiero che ha il suo fascino, diciamocelo. Mi piaceva parlare con Dio. Innanzitutto era un'ottima scusa per parlare da sola (sempre meglio di quella scemenza da nevrotici dell'amico immaginario); ma soprattutto, mi dava molto conforto l'idea che ci fosse qualcuno super interessato a me, a cui non dovevo spiegare alcunché dato che era già nella mia testa, e pure molto contento che io gli raccontassi ogni minimo dettaglio della mia banale vita.
Avevo un gran bisogno di esprimermi e mezzi ridotti per farlo; c'era qualcosa di enorme dentro di me, ma non capivo cosa fosse - un'anticipazione, un destino, un'idea rivoluzionaria, un talento? Non riuscivo a condividerlo con quei ritardati dei miei coetanei né a spiegarlo agli adulti. Avevo solo sette anni, dopotutto.
Poi accadde qualcosa di troppo brutto perché Dio lo permettesse, quindi il capitolo fu chiuso definitivamente.

Il bisogno di farsi ascoltare, per tirare fuori quella roba incredibilmente meravigliosa e potente che covavo dentro, però rimase. Provai a scrivere i miei pensieri in un diario, ma era l'apoteosi della noia. Scrivere era faticoso e monotono, e non c'era nemmeno un Dio a leggermi! Rassegnata, ripiegai sui libri, dato che in essi trovavo spesso un'eco della roba enorme e meravigliosa di cui sopra.
Ci vollero degli anni prima che scoprissi il magico mondo degli amici di penna. L'amico di penna è anche meglio di Dio, perché ti risponde! Ogni mese spedivo in giro una quantità esorbitante di pagine fitte di menate; scrivevo dei miei pensieri, e dei banali dettagli della mia noiosa vita da adolescente problematica, come se fossero degni di essere raccontati, come se in essi si trovasse il codice col quale decifrare il mistero di quella cosa meravigliosa e importante in cui risiedeva, era indubbio, il significato della mia vita.

Milan Kundera, in "L'insostenibile leggerezza dell'essere", scrive:
"Tutti abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere potremmo essere suddivisi in quattro categorie.
La prima categoria desidera lo sguardo un numero infinito di occhi anonimi: in altri termini, desidera lo sguardo di un pubblico.
[...] La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti. Si tratta degli instancabili organizzatori di cocktail e di cene. Essi sono più felici delle persone della prima categoria le quali, quando perdono il pubblico, hanno la sensazione che nella sala della loro vita si siano spente le luci. Succede, una volta o l'altra, quasi a tutti. Le persone della seconda categoria, invece, quegli sguardi riescono a procurarseli sempre. [...] C'è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata. La loro condizione è pericolosa quanto quella degli appartenenti alla prima categoria. Una volta o l'altra gli occhi della persona amata si chiuderanno e nella sala ci sarà il buio. [...] E c'è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori."
"L'insostenibile leggerezza dell'essere" è un romanzo a tesi, in cui ogni personaggio è dimostrazione di una riflessione di questo tipo, anzi sembra creato da tali riflessioni. I "sognatori" sono, a scanso di equivoci, degli imbecilli; difficile provare simpatia per i personaggi che li rappresentano: figure di una debolezza repulsiva, che dedicano la loro esistenza a compiacere il giudizio immaginario di una figura immaginaria.

Dall'altra parte del blog ci sono tutti i tipi di sguardi. C'è il pubblico anonimo, c'è la cerchia di amici (virtuali), c'è la persona amata e c'è il Lettore Immaginario, il lettore totale, quello che capisce cosa esattamente pensi ed è straordinariamente interessato a quanto hai da raccontare.
Ci sono alcuni blog che esistono esclusivamente in funzione autobiografica. Non c'è in questi né umorismo né poesia: vi si assiste al contrario allo spettacolo, imbarazzante poiché incomprensibile, di persone che giorno dopo giorno raccontano nei minimi dettagli i loro viaggi per andare al lavoro, o cosa si sono portate nel cestino del pranzo, o l'ultimo aperitivo con le amiche o la cronaca della gita fuori porta - ma serissime eh, senza alcun intento di narrare altro che quello.
Non capisco chi legge, ma comprendo chi scrive. Scrivere ènominare, e nominare è dare vita; salvare dall'indistinto e dichiarare degno di memoria, degno di esistenza. Forse, così come l'incertezza di quest'epoca è riuscita a raggiungerci in ogni ambito del quotidiano fino a spingerci a barricarci dentro i nostri corpi, così l'insensatezza della nostra vita non si placa più "semplicemente" con una creazione (di se stessi, intesa come realizzazione personale/professionale; di altri - un figlio; artistica), ma è necessario nominare e nominare ancora tale creazione, descriverla, ricordarla, ripeterla, affinché il suo nome non si confonda nel brusio circostante.
Il disincanto e l'iper-razionalizzazione della civiltà lasciano scoperte vaste zone che ci affrettiamo a riempire con residui di pensiero magico (o infantile), che procede per simboli e allegorie. Nulla, per questo modo di pensare, è insignificante, poiché ogni dettaglio ha un corrispettivo nel disegno cosmico: il più stupido inconveniente accadutomi stamattina anticipa o esemplifica in modo diretto il mio destino complessivo. Il che significa, di conseguenza, che controllando gli stupidi inconvenienti riuscirò a controllare il mio destino; e narrando gli stupidi inconvenienti, nominandoli, dipanerò la matassa della mia insulsa vita.


Ho smesso di scrivere nel tentativo di sfuggire a questa logica, in un momento in cui ero troppo fragile per resisterle. Frequento un ambiente nuovo, abito in una casa nuova, lontano da famiglia e amici: i lettori di questo blog mi conoscono da più tempo di qualsiasi persona io frequenti faccia a faccia in questi giorni! Ed è ovvio che quando del tuo compleanno si ricordano prima e meglio gli amici virtuali - Milla, Francesco, Gualtiero... quanto mi avete fatta gongolare! grazie! - di quelli reali, il rischio di confondere i due piani è tangibile. Avrei potuto mettermi a raccontare i cazzi miei nell'inconsapevole (mica tanto) tentativo di dare dignità e significato alle mie sfighe, e ciò sarebbe stato non solo lesivo della mia dignità, ma ingiusto nei confronti di qualcuno e tremendamente noioso o fastidioso per tutti gli altri.


Insomma, queste erano le motivazioni della mia assenza e le riflessioni che ho fatto nel frattempo - cioè, una parte, che sennò facevo concorrenza a Suzukimaruti. Comunque ora sono quasi le sei del mattino, e probabilmente è l'insonnia ormai cronica a farmi straparlare. Ok, diciamo che come post-del-rientro può bastare!