martedì 28 giugno 2011

friendfeed e la gente

La prima volta in cui mi sono iscritta a Friendfeed è stata nel - no, non me lo ricordo. Nel 2008 forse. Era estate, ero a Genova, dovevo scrivere non so che paper/tesina, i miei genitori erano da qualche parte in vacanza, mi annoiavo; qualche early adopter di quelli che io seguo (un modo elegante per dire: Zio Bonino) ne parlava bene, mi sono iscritta. Mi affascinava l'intersecarsi della blogosfera - con le sue gerarchie, personalità, gergo, rituali, "tradizioni" - con la dimensione da cazzeggio tipica del forum: mi sembrava la quadratura del cerchio. Era divertente.
Dopo qualche mese mi sono disiscritta cancellando il mio account: il ridicolo tentativo (uno dei tanti) di eliminare le distrazioni, disintossicarmi da internet, dedicarmi seriamente al dottorato.

L'anno scorso mi sono iscritta di nuovo, per motivi di completezza. A un certo punto mi sono convinta che il mio futuro professionale avesse a che fare con internet, e quindi dovevo "entrarci" di più, Sì, non ha il minimo senso, ma me la ricordo più o meno così.
(vorrei aggiungere che l'anno scorso mi sono iscritta a World of Warcraft perché volevo scrivere 4 righe sugli avatar. sono ancora lì.)
Ho trovato FF molto cambiato: non più le blogstar di qualche anno fa, moltissime persone che non hanno né blog né altro (al limite un twitter) (twitter è una cosa che ancora adesso non so come si usi), e che cazzeggiano amabilmente con pochissimi o nulli riferimenti alle Grandi Questioni della blogosfera (del tipo blogbabel sì o no, telecom sì o no, tramezzini sì o no, web 1.0 o 2.0, bucknasty prima faceva più ridere eccetera). Mi piacciono molte di queste persone. Il distacco dalla blogosfera fa sì che la dimensione forum/chat si sia accentuata, sia per il livello di cazzeggio sia per la capacità di far nascere al proprio interno modi di dire, rituali, gerarchie, tradizioni, scandali e tormentoni. E idee geniali: Forse anche la Simmenthal, i fotomontaggi di Isola Virtuale, la famosa moschea abusiva del quartiere Sucate in via Giandomenico Puppa, eccetera. Li lovvo un sacco, insomma.

(You know, my brother once told me that nothing someone says before the word "but" really counts)

Ma a volte la gente sbrocca. La gente sbrocca più spesso lì che in altri luoghi di mia conoscenza. I luoghi più litigiosi della blogosfera - i litblog e Kilombo - raramente sono arrivati a punte simili di sbroccaggio.
Non parlo di flame, che si fanno per distrarsi. Parlo di reazioni da manicomio.
Parlo di comportamenti da mitomani che coinvolgono branchi di persone apparentemente prive di un livello base di comprensione del testo. Parlo di comportamenti e reazioni che ti fanno credere di star leggendo le parole di qualcuno che ha bisogno di aiuto.
E ci sono sfoggi di cattiveria e di livore che cagano in testa al fascino del cattivo, fanno due giravolte e diventano sfoggi di cattiveria e di livore. Col cazzo che sto dalla parte di Asso Merril, scusate eh. Si ride e si scherza, però col cazzo uguale.
E ho un po' di difficoltà a lasciare lì la cosa. Pensare che sì, è il mezzo che trasforma le persone; pensare che non sono realmente così, stanno fingendo, o forse non si esprimono bene scrivendo, che dal vivo sarebbero diversi. Non riesco a pensarlo perché non ho mai visto una grande differenza nelle persone, online e offline; e l'eventuale differenza era sempre a svantaggio dell'offline.

Alcuni anni fa una mia amica e collega scoprì il favoloso mondo dei forum, mentre io stavo per imbarcarmi nel favoloso mondo dei blog. A volte mi chiedeva se certe dinamiche fossero "normali", se fossero "cose da forum"; non lo erano sempre. Settimana dopo settimana l'ho vista montare degli psicodrammi spaventosi in quella comunità; l'ho vista fare carognate, ricevere carognate, comportarsi come una sbroccata mitomane. E non sapevo cosa fare; non sapevo gestire quell'informazione all'interno del nostro rapporto. Collega, amica, di qualche anno più grande; può una persona essere malata quando scrive su un forum, e sana quando parla in ufficio?

Immagino di sì - immagino che la maggioranza di voi mi risponderà di sì. È solo un gioco. È solo una sperimentazione identitaria. Eppure io fatico a figurarmi quelle persone lì mentre spengono il computer e tornano normali, serene, in possesso di facoltà cognitive atte a organizzare la percezione della realtà esterna secondo categorie logiche.
Lo so che hanno un lavoro, sono sposate, hanno dei fratelli, dei figli; che sono membri rispettabili della nostra comunità. Che hanno una macchina, e la guidano. Che hanno il diritto di voto.

No, sicuramente non è FF. È che la gente, sarebbe meglio non saperne nulla, rimanere in casa e giocare col gatto.



giovedì 2 giugno 2011

l'indispensabile post sulle elezioni

La mia scheda elettorale era immacolata. Grazie al cazzo, ho cambiato residenza l'anno scorso - no, non è per questo. In realtà io non voto; cioè, non votavo.

Non voto - cioè, non votavo - perché non credo nella democrazia. Non penso che sia un sistema che garantisca sufficiente giustizia e libertà, per cui ho sempre cercato di pensare, parlare e discutere un'alternativa. La chiamerei anarchia se non fossi intimidita dalla parola, e se volessi chiamarla.

Scendendo a terra, non votavo perché prendevo sul serio il voto. Il voto è una delega incondizionata, senza possibilità di ritiro, ripensamento o controllo, della propria libertà di scelta e della propria voce, a un'altra persona. Equivale al dichiararsi incapaci di intendere e volere e di affidare - nell'ultimo, isolato guizzo di consapevolezza prima del declino nella demenza totale - ogni decisione sulla propria esistenza politica e, in gran parte, sociale, a un altro individuo.
È un po’ la differenza tra guardare una bistecca e vedere un secondo, o vedere un pezzo di cadavere. Può succedere che qualcosa faccia clic e tu non vedrai mai più del cibo, vedrai solo un pezzo di cadavere; e molti se ne offenderanno e molti non ci crederanno, ma tu vedi un pezzo di cadavere e ti fa anche un po’ schifo, e proprio non te la senti di mangiare una roba del genere.

Una volta ho votato - anzi, due: un’elezione amministrativa e una politica. Era perché, sapete, bisognava fermare Berlusconi. Non riesco a ricordare quando né come, ma sono ragionevolmente certa che in nessuno dei due casi i miei candidati sono andati al governo.
Se non altro, sono felice di essere abbastanza giovane da non aver votato il governo che ha bombardato la Serbia. Mi sono già sentita abbastanza colpevole e complice di quell’infamia senza dover sopportare il pensiero di aver messo per iscritto il permesso di uccidere della gente in mio nome.

Poi, niente, quest’anno ho votato per Pisapia.
Ci ho pensato molto, e mi sono decisa a farlo perché non sto facendo nient’altro. Anni fa facevo politica: m’informavo, leggevo, discutevo; preparavo il cambiamento con la riflessione e la pratica, con l’esempio e la militanza. Da anni non faccio nulla di tutto ciò; se qualcuno mi chiede cosa ne penso, allora rispondo, ma è proprio il mio massimo. Non manifesto, non occupo, non so più dove sono girata, non me ne frega nulla; addirittura mi capita di comprare Nestlè.
Ogni tanto ho dei moti di indignazione, ma nel vuoto siderale della mia testa non c’è abbastanza ossigeno per un cerino, figurarsi per il fuoco della passione politica.

Ho pensato che, senza questo tipo di coinvolgimento, i discorsi di cui sopra non sono anarchia, non sono alternativa: sono solo apatia. E dato che la mia libertà e la mia voce non le uso per fare nulla, non mi servono più, posso ben barattarle con il rassicurante senso del dovere democratico.

Sono contenta che abbia vinto Pisapia. Ho letto il suo programma e mi è piaciuto. Ho dato il mio voto per una donna di Sel che mi sembra competente e seria, e sono soddisfatta della scelta.

Non sono andata in piazza. Sono contenta che ci siate andati, e che siate stati bene; ho visto delle foto, dei grandi sorrisi, e vedere tanta gente tutta contenta non può che far sorridere. Ma non comprendo in pieno il motivo che vi ha spinti ad andare in piazza a festeggiare.
Cerco da una ventina di minuti le frasi per spiegare quanto mi siete sembrati strani, ma non è facile e non credo di riuscirci.

Molti hanno linkato questa vignetta di Makkoz, ma io non la capisco. Chi ha vinto cosa? Ciò che è successo dipende da me, da te? Siamo andati sui monti a guerreggiare contro l’invasore? Abbiamo occupato la fabbrica mettendo in ginocchio il signor padrone? Abbiamo fatto la rivoluzione impadronendoci del Palazzo d’Inverno? Non abbiamo fatto un cazzo, se non aspettare che anche “loro” si stancassero e venissero nel nostro carruggio, non si sa quanti per convinzione e quanti per disperazione.
Niente, continuo a provarci ma non riesco a trovare le parole. Sopravviveremo, suppongo.

Bon, tutto è bene quel che finisce bene. Come al solito non so come finire, quindi me la cavo con l’immancabile canzone.