mercoledì 30 aprile 2008

su Nazirock (e il 25 aprile)

La settimana scorsa sono andata al corteo del 25 aprile.
Non ho "fatto" il corteo, eh. Sono rimasta ai margini. Dato che sono arrivata presto, ho ascoltato per un po' i discorsi ufficiali, poi sono tornata indietro fino a incontrare il corteo antifascista, quello dei centri sociali per intenderci, e ho camminato un po' anche con loro.
Non andavo a una manifestazione da anni, almeno quattro penso; non per caso, mancanza di voglia, ma volontariamente, dato che negli anni le mie idee sono cambiate (affilate, spero) e quella della piazza non è più la mia dimensione.
Quella no, e allora quale? Quando un sacco di tempo fa ho realizzato che no, non potevo più aderire a movimenti di massa, comandare dirigere o ubbidire, ovviamente mi s'era già un po' posta la questione: sì ok, e quindi? Ti dai al taoismo? Ti metti a coltivare il tuo giardino? Non puoi, finché una parte fondamentale di te stessa si basa sulla convinzione che non si può essere felici sull'infelicità altrui, che solo stando bene tutti puoi stare bene te.
Dato che non vuoi più fare la rivoluzione, l'unica cosa su cui e con cui puoi agire è te stessa, il tuo corpo. Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo, diceva; l'esempio. Il campo di battaglia si sposta nella tua esistenza quotidiana, al tuo comportamento, ai tuoi pensieri; una visione tra il solipsistico e il messianico, lo ammetto. Così la vita diventa una cosa anche abbastanza faticosa, perché non puoi permetterti di fare le cose che non vuoi che gli altri facciano, dal momento che se tu le facessi allora anche gli altri sarebbero autorizzati a farle, e tu non lo vuoi. Quindi ti tocca essere vegetariana anche se la carne era l'unica cosa che mangiavi e le verdure ti fanno sommessamente schifo, ti tocca boicottare questo e quello, ti tocca raccogliere la cartaccia, e informarti, ed essere gentile, ma soprattutto ti tocca pensare, pensare, continuamente pensare, e che palle santo cielo, che roba logorante. Che poi non sono mica molto brava a pensare, questo l'avrete anche capito da soli.
Inoltre se vivi in questo modo non è più tanto facile cercare l'appartenenza nelle manifestazioni e nei collettivi. Ci ho provato, per un po' mi sono anche divertita, però poi basta, eh. Sarà che ho conosciuto le persone sbagliate, o semplicemente è una modalità d'interazione che non fa per me; sarei anche propensa per la seconda, dato il mio livello di misantropia.
Certo, poi sento lo slogan più banale e mi viene la pelle d'oca, sento la peggiore versione di Bella Ciao e mi metto a piangere, quindi emotiva lo sono rimasta, figurarsi; ma non ho realmente bisogno di semplificazioni. Non ho realmente bisogno di buoni e cattivi, di Palestina libera, di servi dei servi dei servi, io ho bisogno di gente che mi aiuti a pensare; di gente che capisca le implicazioni di ciò che va dicendo, che si attrezzi di conseguenza, non di gente che passa 10 anni a urlare polizia assassina e poi quando la polizia uccide mi cascano dal pero e chiamano lo Stato-mamma (una cosa a caso delle molte), perché se ti va bene lo Stato-mamma allora ti comporti in un altro modo, se invece non ti va bene allora non ti deve andare bene mai, cosa diavolo significa questo rimpiattino? Sono stanca di giocare, non ho bisogno di sentirmi nella moltitudine, non ho bisogno di voi.

Sono andata alla manifestazione del 25 aprile perché, nonostante tutto questo, sarei cieca a non vedere che ce n'è bisogno. Nel momento in cui i diritti elementari vengono attaccati, nel momento in cui le istituzioni si avvicinano a valori e posizioni marcatamente fasciste, nel momento in cui senti che veramente va tutto a puttane e non hai molto a cui aggrapparti per arginare la paura di vivere qui, il ricordo della gente che in situazioni infinitamente peggiori ha detto O la va o la spacca e ci ha provato ed è andata abbastanza bene, può essere un punto fermo.
Eio ha ripreso un pezzo di Paolo Nori in cui mi sono molto ritrovata (a parte il tizio russo che non so chi sia):
Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta la parola antifascismo e la parola resistenza sembravan due parole cariche di retorica e vuote di significato. Forse per via che di resistenza e di antifascismo, da un certo momento in poi, si sentiva parlare solo nei discorsi ufficiali e uno quando sente un discorso ufficiale gli vien l’impressione che valga la legge formalizzata dal matematico e logico Aleksandr Zinov’ev, legge che dice che tutto quel che è ufficiale, è falso. Dopo poi questi ultimi dieci anni, nei discorsi ufficiali nessuno ne parla più, è come se avessero riacquisito verità e significato, la parola antifascismo e la parola resistenza.
Vero: quando ero piccola il 25 aprile erano i temini e le poesiole sulla libertà (quando ancora la libertà era qualcosa di nostro, vi ricordate?) che poi venivano premiati dall'ANPI. Erano vecchi con cappelli da alpini (ma senza penna) e scampagnate su bricchi verso posti mai sentiti nominare e subito dimenticati. Poi è diventato una cosa da ricordare, da difendere. Pazzesco.


Ieri ho visto il documentario Nazirock, di Claudio Lazzaro. E' stata una visione molto istruttiva e interessante. Forse perché, a parte qualche leghista incontrato a Milano, qualche cattolico, e due parenti molto antipatici, io gente di destra non ne conosco: è proprio difficile, per origini familiari, luogo di nascita, traiettorie personali. Insomma, avevo voglia di stirare, uno dei coinquilini ha comprato il dvd del documentario, mi son detta "guardiamolo, ci sarà da farsi almeno due risate".

A me l'operazione non è sembrata corretta. Basta parlare delle dissolvenze: una canzone pro-ultras e viene inframmezzata con il servizio del telegiornale sulla morte di Raciti, le affermazioni revisioniste di alcuni intervistati sfumano sulle immagini dei superstiti (e dei cadaveri) di Mathausen... sì, sì per carità, ok, ma non è solo questo, il fascismo non è (stato) solo quello e non puoi ridurre a Hitler e al genocidio questo movimento (ridurre nel senso della reductio ad Hitlerum, ovviamente). Il documentario si focalizza solo sul razzismo nazista e sull'apologia della violenza, senza per nulla approfondire tante altre questioni ugualmente problematiche: il ruolo della donna, i diritti civili, il rapporto con la Chiesa, insomma quelle cose che già ora sono molto presenti e molto preoccupanti, non Predappio e le cose gravi sì ma folkloristiche. Perché le cose sono collegate, e il primo è la base del secondo; è molto inutile che li accusi di antisionismo quando non ti accorgi della loro gimnofobia; è molto facile e divertente prendere il primo pischello burino tanto ingenuo da farsi intervistare e far risaltare la sua totale ignoranza della storia, ma non è molto produttivo.

L'operazione è controversa perché i mezzi che ha usato avrebbero potuto mettere in cattiva luce anche un centro sociale di sinistra (per non parlare di un campo scout). Basta scegliere accuratamente le canzoni, basta fare le giuste contrapposizioni con i giusti servizi del TG1... E poi, maledizione, il TG1? Da quando il TG1 è diventato la voce dell'informazione obiettiva? Secondo il TG1 Ferrara è una vittima del linciaggio delle donne bolognesi, e il Papa sarebbe stato ucciso dagli studenti della Sapienza. Sono questi i nostri baluardi della democrazia? Belin, siam messi bene, non c'è che dire.

Loro cantano "vi massacriamo di botte perché abbiamo l'onore e voi siete dei subumani"... be', e io allora? Io cantavo della bomba proletaria e di "ora prendo su un pesante veicolo a vapore e vi vengo addosso uccidendovi tutti", se non ricordo male, e di sette bicchieri che brindano a Lenin, di scendere in strada e prendere a martellate i borghesi fino a spedirli sotto terra, e cantavo anch'io del valore e del coraggio, di vendetta e di morte, di coltelli e di dinamite. Di più: forse Lazzaro non lo sapeva o non gli importava, ma la canzone "Frana la curva" sui cui si sofferma sfregandosi le mani, quella che dice frana, la curva frana / sulla polizia italiana / frana, la curva frana / su quei figli di puttana, la canzone che Lazzaro, da infame (eh scusate, qui ci vuole) ha il buon gusto di sovrapporre alle immagini (del TG1, ancora) degli scontri di Catania che portarono alla morte di Raciti, insomma quella canzone NON è degli Hobbit, non è assolutamente dell'alternativa, ma anzi è una canzone degli Erode, un gruppo punk di sinistra. Qui infatti viene cantata durante un concerto all'ORSO - il centro sociale di Milano sgomberato due anni fa, quello di Dax per intenderci - in onore di una manifestazione antifascista; non è poi tutto così semplice come si vorrebbe, vero?

E, a proposito, Lazzaro: nemmeno io riconosco Israele. O meglio, ti risponderei proprio come quel Maurizio Rossi (un uomo maledetto dalla natura con il volto più odioso del cosmo, tra l'altro): sì, lo riconosco nel senso che c'è, ormai c'è e cosa ci vuoi fare? Nulla, tranne insistere affinché gli israeliani riconoscano a loro volta il diritto a esistere dei palestinesi. Ah, e la penso come loro sugli americani; e quindi? No America, no party?
Ma cos'avete, siete tutti abbonati de "Il Foglio"?

Parliamo piuttosto di cosa fanno, di come si comportano, di come descrivono il loro comportarsi, parliamo della violenza agita e non di quella in musica. Parliamo dei pestaggi contro i compagni che si vantano di fare, parliamo di questo santo cielo, ma parliamone seriamente. Parliamo del fatto che nessun militante di sinistra difenderebbe l'operato delle Brigate Rosse, tutt'al più potrebbe dire "avevano giuste idee, ma non hanno saputo come metterle in pratica"; questi no, questi sono orgogliosi. Questi si portano in giro un folle, Andrea Insabato, quello che ha messo la bomba al "manifesto" nel 2000, e ora grida istericamente DOBBIAMO AMARE I NOSTRI FRATELLI!, e LA NOSTRA PATRIA! LA NOSTRA FEDE! LA NOSTRA FEDEE!, con questi ragazzi che lo applaudono come un eroe ("ferito ma non fermato"); hanno a capo Roberto Fiore, "orgoglioso" di essere stato un "impresentabile", di aver patito l'esilio in nome delle sue idee - ma sta in realtà parlando dei suoi anni di latitanza a Londra, quelli che s'è fatto perché è stato condannato a cinque anni (poi tre e mezzo in secondo grado, condanna infine caduta in prescrizione) per banda armata.

Insomma, Nazirock è un prodotto approssimativo, che spara contro la Croce Rossa (le inquadrature di ragazzi terroncelli e grassocci che cantano Ragazzo dell'Europa dai bei capelli biondi / erede di un passato di sangue e fedeltà fanno inevitabilmente ridere, però siamo un po' dalle parti del Bagaglino, eh) e non viene mai al punto. Il punto non sono le facce buffe di Mussolini, per quanto siano invero estremamente buffe, il punto non sono le canzoni che inneggiano alla violenza: il punto è la violenza. La violenza simbolica e fisica, il VALORE della violenza, il valore dell'autoritarismo e della dittatura; il valore del patriarcato, del maschilismo, del nazionalismo e del sangue; il valore del disprezzo nei confronti del diverso, quel diverso da "rigettare" come il corpo rigetta gli elementi estranei; e l'antiabortismo, e il cristianesimo integralista; e tutte le cose, ripeto, per cui venerdì mi sono svegliata con il bisogno di andare al corteo del 25 aprile, che non si sa mai.

Ma Nazirock è un'occasione sprecata anche per riflettere sugli opposti valori della sinistra. Sull'ipocrisia e sulla confusione di chi schifa il patriottismo a casa propria e difende acriticamente il nazionalismo degli altri, chi fa un pensierino sullo sbattezzarsi ma ammira le tradizioni religiose degli altri, e su come questa confusione celi un altro tipo di razzismo, meno pericoloso ma che saremo prima o poi costretti ad affrontare.
La solidità della destra, il fascino della destra, sta proprio nella loro capacità di affrontare qualsiasi cosa con lo stesso sguardo, e non di procedere caso per caso; la loro ideologia è facilmente trasferibile e mobile. Io non voglio avere certezze di quel genere, ma il ragionamento politico dovrebbe comunque partire da una base solida, che la sinistra, soprattutto quella scalcagnata che c'è adesso, non sembra riuscire a contornare con precisione; e gli effetti sono le disparate opinioni sul Tibet, o operazioni come Gaza vivrà, e mille altre cose che appaiono torbide o semplicemente approssimative.
Ok, fine. Direi che il pezzo è completo.