mercoledì 5 dicembre 2007

Ecco, insomma, io me ne andrei per un po'.
Ho cercato di distrarmi, ma non ci sono riuscita bene. E non riesco più a giocare col blog.

Niente, mi spiaceva assentarmi senza salutare.

sabato 1 dicembre 2007

perdere due giorni e salvarsi la vita







Ho installato Ubuntu.

Già. C'è chi si taglia i capelli, chi si riguarda "Harry ti presento Sally", chi si iscrive a un corso di yoga, chi fa scorta di vodka, chi si butta sul lavoro.
Io installo Ubuntu.

È divertente. No, dico, la vedete questa È? Merito di Ubuntu. Si fa amare per le piccole cose. E odiare per quelle enormi, ovviamente. Tipo, che so, non riconoscere la mia scheda di rete, ma manco con le evoluzioni. Sono dovuta tornare alla connessione ethernet - sì, significa quello che avete capito: festoni natalizi di fili del telefono a decorare il corridoio.
Anche se il suggerimento dell'ottimo Davide Mana, la mia Ubuntu-cavia, è stato utilissimo: in effetti con una chiavetta usb wifi si riusciva a navigare; ma a singhiozzo, purtroppo.

Esteticamente, è molto bello. Ovviamente ho scelto le animazioni buffe, quindi le finestre che rimbalzano eccetera. Mi diverto molto! Pidgin, il software per la messaggistica istantanea, è un tesoro. Thunderbird lo usavo anche prima e sono riuscita, un po' a fatica, a importare tutte le mail e il profilo. Idem per Mozilla con i segnalibri. Open Office funziona benissimo, niente da segnalare. E ci sono un sacco di nuovi software da provare... mi sono innamorata di Rhythmbox, per esempio.
Senza parlare del solito, ma mai abbastanza sottolineato supporto della comunità: tutti gentili, veloci nel rispondere, pazienti. Soprattutto se inizi i messaggi con un qualsiasi aggettivo o almeno articolo che finisca con -a.

Note negative: Mozilla è orrendo. Non riesco a capire perché. I menu hanno un carattere minuscolo, e posso anche abituarmici, ma il brutto è che visualizza le pagine con fonts fuori dalla grazia di dio. Sbavati, per altro. Ciliegina sulla torta: mi sottolinea ogni parola che scrivo come scorretta, perché evidentemente non riesco a impostare un dizionario italiano (qui mi sa che è un problema del sistema, non di Mozilla, ma non me ne figuro l'origine).

Altra nota negativa: sono stanchissima e ho i nervi a pezzi.
Quindi ho raggiunto il mio scopo.

mercoledì 28 novembre 2007

nobody tells you where to go

Stamattina, al corso di Vai e Stendili Tutti, la formatrice ha usato più volte l'esempio del guidare l'auto.
"All'inizio ti sembra difficilissimo, devi controllare un sacco di cose tutte contemporaneamente, lo specchietto la frizione il volante, è ovvio che ti senti un'incapace. Poi pian piano impari, e diventa un'abitudine, al punto che nemmeno ti accorgi di compiere tutte quelle azioni".
Forse avrei dovuto dirle che non sono ancora riuscita a prendere la patente.

A proposito di automobili, questo pomeriggio mentre attraversavo la strada ho sentito un ciocco da paura, e voltandomi ho visto un signore salire su un'isola di traffico con la sua Panda, manco fosse su una bmx. La Panda, onore al merito, s'è comportata come una bmx. Rivaluto moltissimo il concetto "Panda".
E dato che in uno degli esami di guida avevo fatto una mossa simile, forse non devo abbandonare la speranza. Almeno finché resto a Milano.


In omaggio: R.E.M., Drive.

martedì 27 novembre 2007

malaselezione

Lo so che sono da meno, rispetto a tutti gli altri.

Non sono altrettanto brava, non ho studiato così tanto, non mi sono mai impegnata, non ho voglia di lavorare.
Non ho la vocazione, non ho la preparazione, non ho la serietà.
Non mi so organizzare, consegno in ritardo, non mi ci metto mai se non all'ultimo.
Sono pigra, oziosa, scansafatiche, ho la schiena dritta.

Però non l'ho mica chiesto io, di giocare la vostra partita. Anzi: ve l'ho sbandierato in lungo e in largo che non avevo alcuna intenzione di farlo.
Non mi sono mai impegnata, non mi sono mai sbattuta, non ho mai sudato; è stata sempre e solo la fortuna del principiante, in ogni tempo e luogo.

Se sono qua, o vi siete sbagliati o davvero fra la vostra gente non avete trovato nessuno di meglio. E io non posso diventare brava solo perché avete scritto che lo sono.
Se ho sonno mi addormento durante le lezioni, e se mi annoio faccio le barchette di carta. No, non sorrido alle battute che non mi fanno ridere.

E alla fine, comunque, vaffanculo.

sabato 24 novembre 2007

it's a gas

Lei: Guarda, appunto, si tratterà solo di parlare del lavoro che hai fatto alle persone che saranno coinvolte, io alla fine non ti ho incluso perché mi sembrava di aver capito che il dottorato, i lavori, insomma non sapevi -
Io: Hai fatto benissimo, quando vi incontrate mi fa piacere raccontarvi due o tre cose, ma appunto non me la sento di impegnarmi, poi va be' se avrai bisogno di una mano ovviamente ci sono.
Lei: Ah, sì, grazie, è che per ora sai nel budget iniziale non ho previsto delle consulenze esterne...
(la conversazione continua ma io sto pensando ad altro)

Sto pensando:
Da quando "dare una mano" equivale a "fare una consulenza"?
Da quando "aiutare un'amica" ha a che fare col "budget iniziale"?

Forse davvero vi frequento troppo, e con tutte queste cose di condivisione e social network e logica del dono mi avete mandato in pappa il cervello.
O forse sono stata troppo ingenua nel credere che primo sintomo di vecchiaia sociale fosse la mutazione del Regalo Non Impegnativo Alle Amiche da "cazzata etnica" a "prodotti cosmetici"; il primo, vero sintomo sono i soldi.


Di sintomi di vecchiaia fisica invece ormai so tutto.
Al momento tra l'altro sono cosparsa di cerotti medicati - cose antidolorifiche da mettere sulla schiena, diciamo. No, ovviamente non servono, anche perché come tutti i medicinali di questa casa sono scaduti da circa un anno; è che mi piace questo sensazione di bondage appiccicaticcio. E poi adoro i medicinali scaduti.

martedì 20 novembre 2007

tubi

In casa mia è successa una cosa molto Toxidrome: dal tubo della doccia escono sassolini. Sassolini bianchi, neri, rosa. Come se il tubo della doccia avesse i calcoli, per dire.
Quando ho notato il fenomeno ho pensato: Ehi, ecco un caso per il dottor House! - cioè, se questo non fosse un tubo della doccia, intendo.
Quindi ho pensato a quest'idea originale e di sicuro successo per la tv italiana: un serial su un idraulico.

Le buone notizie:
- Oggi in Posta allo sportello accanto al mio c'era un signore anziano molto preoccupato per l'avviso del Tribunale ricevuto; ma una volta che ha ritirato e aperto la busta minacciosa, è risultato che gli è stata concessa un'integrazione della pensione di 800 euro.
Per la contentezza gli è venuto il Parkinson.
Purtroppo non so quanto tempo gli rimanga per godersi quei soldi, perché, appena s'è allontanato, il livoroso impiegato dello sportello gli ha mollato una tale valanga di accidenti da determinare un drastico accorciamento della sua speranza di vita.
- Qualche giorno fa ho salvato un intirizzito ghiro (o era uno scoiattolo?), visto in una bancarella del mercato rionale, dall'essere adottato dalla sottoscritta.

sabato 17 novembre 2007

banalita'

Ieri pomeriggio sono andata alla presentazione milanese del nuovo libro di Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine.
Non era in programma, davvero. Solitamente l'uscita pomeridiana contempla cinema e cazzeggio; ma ieri non c'era nulla di particolare al cinema, siamo usciti tardi e abbiamo deciso di dare un'occhiata a una bella mostra. La libreria Feltrinelli dove si sarebbe tenuta la presentazione è vicina al PAC, quindi ci siamo detti: "Massì, al massimo ci facciamo due risate".
Macché risate. Magari.

Ci sediamo, addirittura. La platea era quella che vi potete immaginare: 70% di inguardabili carampane che giustificano da sole le peggiori battute sul femminismo, 8% di giovani maschi sfigati e vecchi maschi assopiti, 2% di MilanoDaBere, 5% di giovanissime idealiste, 15% di passanti e pensanti. Nell'attesa che inizi la presentazione sfoglio il libro, trovandoci esattamente ciò che mi aspettavo: un reportage dettagliato, dati in numero sufficiente, bibliografia un po' carente e a parer mio troppo blogografica, grande spazio dedicato all'aneddotica, citazioni pop, stile fluido e piacevole.
L'autrice viene introdotta da una signora a me sconosciuta, che leggo oggi chiamarsi Helena Janeczek e facente parte di Nazione Indiana (quest'ultima cosa s'era capita dal fatto che i primi due aggettivi dedicati al libro sono stati, indovinate un po': "necessario" e "importante"!). Presentazione lentissima e ripetitiva, stavo svenendo dalla noia. Quando finalmente la Lipperini prende parola, si dimostra invece sicura e brillante, in una parola: coinvolgente.
No, non troverete una parola contro la Lipperini in questo post, brutti squali;)! Non è di questo che vorrei parlare.

Il femminismo fa parte della mia esperienza e del mio bagaglio culturale; questioni di genere(*) e women studies fanno parte della formazione. La prospettiva di genere è così integrata nel mio "fare ricerca" da considerarla ovvia, e spesso mi scordo di nominarla. Non sono una grande mente né una grande sociologa, ma questi argomenti sono per me il livello base. Sapevo di che avrebbe parlato il libro prima di guardarne l'indice, e ne ho compreso la prospettiva con uno sguardo alla bibliografia.
Quando camminavamo verso la libreria, mentre raccontavo al mio ragazzo chi fosse Elena Gianini Bellotti, cosa avesse scritto e perché e come e quando, e cosa invece mi aspettavo da Ancora dalla parte delle bambine, gli ho anche spiegato per quale motivo mi dispiaceva che quest'ultimo anticipasse l'uscita di un libro che attendo ormai da mesi, e che per problemi editoriali o semplicemente di sfiga continua a essere rimandato: Anticorpi di Luisa Stagi, bravissima ricercatrice di sociologia e mia cara amica.
Il libro in questione è frutto di tre anni di ricerche sul tema delle ossessioni legate al corpo e al cibo, ma scritto per venire incontro al pubblico non specializzato e insomma raggiungere più persone possibile, nella consapevolezza che le sue riflessioni possono aiutare le persone a comprendere dinamiche e spezzare catene e circoli viziosi di dipendenza e sofferenza (qui il suo primo libro, "La società bulimica").
Il libro della Lipperini, sicuramente più accessibile e meglio scritto, avrebbe tolto - gli spiegavo - molti lettori ad Anticorpi, che a fronte di un inferiore appeal ha però una portata analitica rilevante e la capacità di scuotere anche persone molto sensibili e molto informate; Anticorpi infatti si concentra, più che sulla descrizione dello stato delle cose, sull'analisi dei modi e dei motivi per cui si sia arrivati a tale stato; domande che ieri pomeriggio la Lipperini evocava, senza potervi dare una risposta, quando si chiedeva, e chiedeva al pubblico: "com'è cominciato tutto questo?".

Dopo la presentazione di ieri, quel mio dispiacere mi sembra così stupido, ma così stupido da sentire il bisogno di espiarlo.
E' stato semplicemente agghiacciante vedere la platea, composta ovviamente da persone che hanno a cuore i problemi di cui tratta il libro o almeno una sensibilità sufficiente da esserne interessate, percorsa da brividi di sdegno e incredulità davanti alle affermazioni più ovvie. Vedere persone istruite scandalizzarsi di qualcosa che hanno sotto gli occhi tutto il giorno, tutti i giorni.
Mi dispiace, non so se riuscirò a spiegarmi davvero. Quando la Lipperini ha iniziato a parlare delle Winx, solo per fare un esempio, ho pensato: "Santo cielo, ma perché insistere con questa banalità?"; ma quando ho visto la reazione stupefatta e scandalizzata del suo colto pubblico, ho capito che sì, doveva insistere con quella banalità, e c'era bisogno della prolissità, delle immagini e delle didascalie, delle canzoni della Consoli e degli aneddoti, perché la gente realmente non sa, realmente non se ne accorge, realmente non ci arriva.
Non ci arriva anche se ha quarant'anni di femminismo per gamba, o tre lauree, o frequenta i salotti letterari, o ha delle figlie. La gente non ci arriva. E basta.

Quindi mi scuso con Loredana Lipperini per aver dubitato dell'importanza del suo libro. Il suo libro è necessario e importante, purtroppo.
Non vorrei scriverlo, sto male a scriverlo, ma devo farlo perché è vero, ed è una cosa su cui piangere la notte.



(*) "Genere" è infelice traduzione del termine inglese "gender", che rimanda alla costruzione sociale dell'identità riferita all'appartenenza sessuale. Significa che, sì, io sono di sesso femminile, ma ciò che corrisponde a questo stato di natura dipende dalla società in cui mi trovo, in primo luogo dall'educazione che mi viene impartita.

venerdì 16 novembre 2007

Geum-Ja la dolce

L'agente del Mossad mi è molto simile.
Innanzitutto abbiamo la stessa età. Poi siamo entrambi laureati, e in discipline che appartengono alla famiglia delle scienze sociali. Infine abbiamo una formazione post-laurea: lui ha fatto un master, io sto iniziando il dottorato. Certo, lui ha un impiego prestigioso mentre io sto ancora studiando, quindi è più avanti di me; ma non mi sembra ancora sufficiente.
Ci sono altre cose per cui ci assomigliamo, io e l'agente del Mossad: portiamo gli occhiali e i capelli corti.; entrambi abbiamo una relazione eterosessuale; siamo autoironici e disordinati.

Differenze: lui non è vegetariano, non sa usare il computer, passa molto tempo fuori casa, telefona tantissimo, viene dalla pianura, si veste in modo formale, ha la macchina, segue il calcio, non guarda film horror, dorme come un sasso.
Niente da fare, non mi sembrano rilevanti. Insomma, non apparteniamo a caste diverse, giusto?

Quindi perché l'agente del Mossad trova normale che io faccia i lavori domestici mentre a lui è concesso non farli? Perché è normale per lui incasinare e sporcare gli spazi comuni senza preoccuparsi di riordinare o pulire?

C'è solo una cosa che rade al suolo la nostra parità di status: io sono una femmina.

Evidentemente l'agente del Mossad ha vissuto per 28 anni circondato da femmine che raccattavano dal pavimento la sua biancheria sporca e ripulivano il suo cesso, quindi si aspetta che altre femmine, anche se sconosciute, continuino a farlo.

Questa evidenza mi si è palesata solo da pochi giorni, perché non fa parte del mio mondo. Non fa parte non solo del mio presente, il che è tanto ovvio da non meritare precisazioni, ma neppure della mia infanzia, dato che a fare le pulizie in casa mi ha insegnato mio padre.
Ho nuotato controcorrente come un'anguilla (eh, farlo come un salmone era un po' troppo facile) e sono arrivata fin qui per ritrovarmi in casa un uomo che pretende che io pulisca il cesso perché sono una femmina?

No ma io devo trovare qualche modo per vendicarmi.
Penso che inizierò spegnendo lo scaldabagno mentre è sotto la doccia, domattina. Mi alzerò apposta.
Accetto suggerimenti.

martedì 13 novembre 2007

im in ur papr, stealin ur newz

Sì, però sono due giorni, dico due, che in prima pagina su La Stampa trovo il link a un articolo titolato "Omicio Matilda, assolta la madre".
Omicio? Voglio dire, si parla di una bimba morta ammazzata, una notizia ritenuta sufficientemente importante da rimanere per due giorni in homepage: nessuno nella redazione si è accorto di questo imbarazzante errore di battitura?

Nell'articolo su Gabriele Sandri, leggo: "I suoi amici dicono che non era un supporter accanito e che non seguiva più da un pò di tempo le tifoserie", frase ripresa paro paro anche in un successivo articolo. Idem come sopra; già non capisco come a uno venga da digitare , cioè per me sarebbe come non so mettere una maiuscola in mezzo a una parola, utilizzare una parentesi al posto di una virgola, una cosa innaturale; già non capisco come un laureato in scienze della comunicazione, magari con un master in giornalismo al seguito, riesca a scrivere ; ma che non si faccia un controllo ortografico su un articolo, che gli errori vengano copiati e incollati su un altro articolo su cui nuovamente non si faccia alcun controllo ortografico, che per giorni gli errori rimangano in vista e nessuno se ne accorga o pensi che sia importante, per me è bestiale.

Mi dicono "Eeeh, ma sei ossessionata dalla punteggiatura e da queste cose minime, la lingua si evolve insieme ai mezzi di comunicazione" - ma NO, questo non è evolversi, questo è ignoranza. Non è OMGchiavettabypassare né, se volete, squinzia; questo è semplicemente analfabetismo di ritorno che riguarda quelli che dovrebbero essere i livelli alti dell'istruzione e della cultura.
Perché è normale che mia nonna non sappia più leggere, ma non è normale che un laureato non si ricordi che qual è non vuole l'apostrofo, non è normale che un giornalista scriva - non è normale e non va bene ed è una cosa seria, e anche se sono l'ultima che la ritiene una cosa seria, e continuerò a spaccare i maroni anche quando non ci sarà una persona là fuori che si ricorda che i puntini di sospensione sono tre - non due, non quattro, non quattordici, TRE - e che vanno seguiti, non preceduti, da uno spazio.
Per dio.

Va bene, va bene, ora prendo le mie medicine.


edit suggerito da Zu: la forma corretta, comunque, è un po'.

lunedì 12 novembre 2007

la cura di sé

Stamattina l'ho visto. Qui, a sinistra; spunta appena, ma in mezzo a tutto quel nero sembra fosforescente.
Il mio primo capello bianco.
Primo primo, non di quelli che mi porto dietro dalla nascita: un capello bianco tutto nuovo!
Se ho capito bene come funziona da queste parti, ciò significa che sono entrata nella terza età.

Ovviamente sono preparata da tempo a questo momento.
Mi sono voltata verso la mensola e ho afferrato con efficienza tra l'indice e il medio il campioncino di fluido rivitalizzante per contorno occhi e labbra.
Sul collo (davanti e dietro, mi raccomando!) ho spalmato la più classica delle creme antirughe - acquistata al compimento dei 25 anni, per portarmi avanti.
Nella zona T ho bisogno di una crema idratante per pelli miste (da erboristeria, possibilmente); per il corpo invece basta una crema nutriente, di quelle da supermercato, che costi pochissimo - ma per carità senza profumi o altre cazzate che sennò vado in shock anafilattico.

E mentre terminavo di prendermi cura di me stessa, riflettevo su quanto sono fortunata a esser nata in Occidente, che se fossi vissuta in quei posti là dove non hanno rispetto per la dignità delle donne finiva che dovevo mettermi il velo.

mercoledì 7 novembre 2007

Goodnight, Irene



Un omaggio ai fan di Van Morrison, e dio sa che ce ne sono.

La canzone l'ho scoperta grazie a Tom Waits, ma diciamo che questa versione è più, come dire, udibile. Non è il mio genere preferito in assoluto, ma una canzone che dice:

I love Irene, god knows I do
Love her until the sea run dry
If Irene turns her back on me
I'm gonna take morphine and die

merita rispetto e considerazione.

(ah, quello che suona il piano è Jerry Lee Lewis)

domenica 4 novembre 2007

auguroni

Stamattina mia mamma mi ha fatto leggere un trafiletto, no, un box, su La Repubblica di ieri.
Loro comprano La Repubblica quando esce Il Venerdì, sapete, per i programmi, perché non è che piaccia molto come giornale.
Nel trafiletto c'è scritto esattamente quanto leggo su questa pagina del corriere.it, ma lo riporto ugualmente qui.

BOLOGNA - Il presidente del Consiglio Romano Prodi al ritorno da una visita ai cimiteri reggiani è stato fermato da un giovane metalmeccanico. «Presidente, sono un operaio, prendiamo troppo poco», gli ha detto il giovane. «C'è stata una perdita del potere di acquisto degli operai negli ultimi dieci anni molto forte», gli ha risposto il premier. «Abbiamo cominciato a correggerla un po', ma ci vuole tempo».
«Lei lo sa, è durissima», ha insistito il giovane. «Io prendo 1.200 euro al mese, ma per andare a pari ce ne vorrebbero almeno 1.800». «Penso proprio di sì», ha risposto Prodi, «è un problema che già da un anno avevo rilevato, non solo tra gli operai di basso livello ma anche tra i tecnici e gli operai specializzati».
«Io sono specializzato, lavoro a Guastalla», ha aggiunto il giovane. «Alla Smeg?», ha chiesto Prodi ricevendo una risposta positiva. «Auguroni», è stato il saluto con cui Prodi si è congedato dal giovane operaio.

Quando ho alzato gli occhi dal giornale, mia mamma mi ha detto che arrivata all'ultima parola s'è messa a piangere. A piangere al pensiero di Prodi che dice Auguroni "a uno che gli dice quella cosa lì".
Poi abbiamo parlato un po'.
In casa mia si è sempre parlato di politica. Ovvio, oggi ne parliamo molto poco, dato che non c'è molto da dire. O non riusciamo più a dirlo. E' iniziato tanto tempo fa, e non credo potremo rimediare.
Il governo Berlusconi ci ha stremato; ogni giorno ce n'era una nuova, e sembrava che non potessimo fare nulla per fermarli: lo sconcerto pubblico, la controinformazione, le proteste in piazza, le proteste degli intellettuali, la satira, i giudizi degli osservatori stranieri, i richiami della commissione europea - nulla. Inizialmente se ne parlava con rabbia ma anche con lo stupore che si prova davanti al surreale; ma pian piano la rabbia diventava indignazione, l'indignazione abitudine, e un giorno ci svegliammo e ci ritrovammo tutti piallati. L'unica voce stridula che si sentiva era quella delle prese per il culo della persona Berlusconi, che sembravano orchestrate da Publitalia più che dall'opposizione.
Arrivammo alle elezioni così storditi da non riuscire a porre alcuna resistenza a quelli che ora governano. Anche io li ho votati, macchiandomi per la prima volta di una colpa, di una complicità di cui sento il peso ogni volta che mi avvicino a un quotidiano.
Con questo governo la politica è davvero finita. Non esistono più conflitti di valori; non si parla di come si dovrebbe amministrare la cosa pubblica, alla luce di diverse concezioni della stessa e del mondo; si parla di... potere? Non so descrivere ciò di cui si parla. Non so nemmeno più qual è il discorso dominante; esso è frammentato, difficile da ripercorrere, volutamente ambiguo.

E certo, sono stanca di BlogBabel, Carmilla, il declino del genere horror, o le mie disavventure domestiche, insomma delle tante cazzate con cui mi trastullo qui e altrove. Ma di cos'altro si può parlare ormai? Non serve sapere come funziona, non serve deplorarlo negli altri: mi sto ripiegando su me stessa, divento sempre più indifferente, divento sempre più razzista (io? sì, io), in una sorta di qualunquismo di ritorno che assomiglia all'apatia.
Va bene l'anarchismo individualista, ma io ho bisogno di compagni, e dove sono i miei compagni? Ipnotizzati da un'America Latina di maniera, coglionati da Tarantino e dalla minimum fax - io non voglio avere nulla a che fare con persone che hanno dismesso i loro valori e la loro ideologia, magari barattandola per due chili di rizomi e un Mac Book Pro.

Forse ho bisogno di allontanarmi di nuovo. Di chiudermi in qualche aula o biblioteca, quei luoghi dai quali tutto appare limpidamente consequenziale; forse basterebbe non prendere più la metropolitana; forse devo rileggere qualche pagina di quelle che in passato avevano fatto il loro porco dovere.
O forse va benissimo così, poiché vivo e rappresento il mio tempo; se aspetto ancora qualche anno dimenticherò del tutto di aver fatto politica, pensato politica, vissuto politica, e sceglierò in base alla convenienza l'opinione del giorno, in base al fatto del giorno, al pagerank del giorno e alla cena del giorno prima.
Senza indignazione e senza paura, se non quella che mi diranno di avere.

venerdì 2 novembre 2007

conversioni














Ho appena installato Xubuntu sul vecchio pc.
Il prossimo passo, a occhio e croce, sarà diventare vegana.
O, dio non voglia, smettere di depilarmi le ascelle.

mercoledì 31 ottobre 2007

cellula dormiente

A questo punto, l'unica spiegazione plausibile è che il mio coinquilino sia un agente del Mossad che ha dedicato anni di duro addestramento alla sua unica missione: farmi impazzire per deprivazione del sonno.
Perché l'altra ipotesi, quella che si tratti semplicemente del deficiente più egoista e/o dell'egoista più deficiente della città, è troppo fantascientifica per essere vera.

domenica 28 ottobre 2007

new age

Il mio corpo si sta prendendo delle licenze che non posso ammettere.

E' bastato allentare un poco il guinzaglio e m'è diventata una rivoltosa, davvero.
Lo sapevo, io. Lo sapevo da subito. Aveva ragione Kundera, aveva.
Ma si sa che quelli lì gli bastan due paroloni per confondere i tipi come me, che mica hanno studiato. Così ho abboccato, miseriaccia.
Perfino a quella storia che il corpo e la mente hanno pari diritti! Ma dove si è mai sentita? Un corpo femmina, poi! Ma andiamo!
E l'istruzione, io lo dicevo che a farla studiare diventava arrogante e avrebbe preteso di comandare. Ma loro no: la consapevolezza, la libertà, l'armonia - ed eccomi qui!

Ha iniziato con il mal di schiena.
Poi le sono venute mille orticarie da stress e s'è scoperta sensibilissima a tutto, così mi faccio male in continuazione e mi raccomando dopo la doccia la cremina sennò la pelle.
E non mi posso mettere le lenti perché c'ha qualcosa alla lacrimazione.
E alla soglia dei 28 anni teniamoci i punti neri, perché mangio male; non so se mi spiego, si permette di giudicare cosa mangio.
E le si sposta il bacino perché non faccio ginnastica: sembra che ho una gamba più corta dell'altra... e chi lo paga il servizio sartoria?
E la tendinite perché sto troppo al computer e non uso in modo equilibrato i muscoli del - ma che vada a fanculo lei coi suoi muscoli!

E la cervicale. No, un attimo, come la cervicale, quella roba che ha mia zia di settant'anni? Sì, quella. Ma come mai? Eh, si vede che stai seduta male - no ma come io e io, io non c'entro nulla, è LEI che ha la cervicale, che s'è messa in testa che c'ha la cervicale, ora basta darmi la colpa! Come sto seduta, come mangio, come mi muovo, dove vado, ma si faccia un po' gli affaracci suoi una buona volta nella sua vita!
Non avessi dato retta a quei fricchettoni, le cose qui sarebbero ancora al loro posto, con io che comando e lei che obbedisce e zitta.

Cavolo, e questo dente? Mi si è spostato pure il dente?
No, ma se la becco la rovino.

sabato 27 ottobre 2007

sortita

E' quando ti ritrovi a sgattaiolare fuori dalla tua camera alle due di notte, per ritornarvi con un barattolo di quasinutella in mano, un sacchetto di quasibrioche nell'altra, e un coltello tra i denti, che capisci che le pessime compagnie stanno iniziando a fuorviarti.
.

venerdì 26 ottobre 2007

no fustagno, no party


In giorni come questo qui, nei quali vengo annichilita dalla tristezza, mi chiedo se una persona come me, una persona che può smettere di funzionare all'improvviso e per un tempo indeterminabile, non abbia il dovere di astenersi.
Volevo scrivere "astenersi da" e specificare, ma l'elenco sarebbe stato lungo e noioso. Il senso tanto si capisce.

In ogni modo, penso di avere finalmente capito una, forse la principale ragione del mio successo universitario.

Mi vesto malissimo. Mi vesto così male, che ogni tanto controllo se per caso appaio tra le Malvestite, sicuramente nella categoria "arte povera".
Il mio stile grunge-fricchettone-intellettuale-scappatadicasa è inconfondibile, penso. Quindi sì, indubbiamente io ho uno stile tutto mio. Ma è terrificante.
Qualche giorno fa, dopo estenuanti cambi d'abito (due - mi stanco presto), prove, tentennamenti e ripensamenti, sono uscita di casa che sembravo qualcosa a metà tra un marinaio marsigliese e un brigatista. Con lo stesso taglio di capelli che sfoggiava Ringo nel 1964, oltretutto.
No ma il punto è che m'ero vestita bene, perché capisca che ci tengo.
Mi chiedo in che modo mi concerei se il messaggio fosse me ne frego e/o muori.

Lì ho avuto l'illuminazione.
I professori, quelli della commissione, devono aver pensato che una giovane che si veste tanto male deve per forza essere un'intellettuale, sapete, una di quelle persone profonde che non badano all'apparenza e all'effimero, una di quelle che studiano e lavorano sodo, insomma una da premiare.
Quale errore.
Mi dispiace.
E ora?
.

mercoledì 24 ottobre 2007

il mio primo meme

Su insistenza di Orazio, eccomi qui a compilare il Radio Meme, per tornare al cazzeggio affinché nessuno si faccia venire strane idee in testa che qui si scrivano cose belle e sensate.

Radio, per me, significa adolescenza.
In casa mia non si ascoltava radio; mio padre aveva un centinaio di cassette di cui non era geloso, anzi, amava condividere la sua passione per la musica. Alan Parsons Project, Genesis, Dire Straits, Pink Floyd, cantautori italiani: ecco la colonna sonora della mia infanzia.
(ora invece c'è il blues inglese. da anni, mio padre ascolta blues inglese. bello eh, per carità. almeno si è stabilizzato: prima andava a periodi, con passioni dirompenti e intense, fortunatamente brevi. il periodo beatles è uno dei più virulenti, ma i giorni più soffocanti della mia vita domestica sono stati quelli in cui si era ricordato dei nomadi. i nomadi, ogni giorno, tutto il giorno, per settimane.)
Mia madre, quando finalmente suo marito spegneva quel maledetto stereo, ne aveva assai della musica; per lei la radio si ascoltava al lavoro, faceva compagnia e c'erano gli sceneggiati.

Primo incontro radiofonico: RockFM.
Era il 1998, e Karma Police era il Rock Shock della settimana, ossia veniva trasmesso ogni due ore. Il dj Roccia conduceva la trasmissione delle dediche, Max era ancora in consolle e sarebbe passato del tempo prima che si arrischiasse a condurre Ora buca, un'intera trasmissione tutta per sé (ora ha tre ore quotidiane), Claudia non riusciva a finire un Tour de Force (elenco dei concerti) senza impappinarsi, la sera c'era uno spin-off di Rumore, eccetera. Bellissima radio. Come dice il nome, solo ed esclusivamente musica rock: dal blues (again) al metal, dal cross-over all'indie, all'americana, a quel che passa il convento. Nei giorni festivi c'è una probabilità su cinque che sintonizzandosi a tradimento si becchi "The House of the Rising Sun" degli Animals - non chiedetemi il perché.
Questa è la radio di Eclettica, il programma di Giulio Caperdoni, l'unico che ascolti in podcast.

Primo anno di università, ovviamente non mi sono portata in pensionato lo stereo (tanto è vecchio e non funziona: riciclo quelli di mio padre). Ho una radio con lettore cd e cassetta, lo stesso che in questo momento, nove anni dopo, ho portato in questa casa. Ho comprato Scarp de' Tenis, perché sono di sinistra e studio sociologia; all'interno leggo di questo programma, "Alcatraz" di Diego Cugia, che mischia programma musicale a sceneggiato: il dj è un personaggio inventato dall'autore, Jack Folla, condannato a morte in un carcere americano, che ha ottenuto il permesso di condurre questo programma, in cui racconta la sua vita e mette la sua musica. Amore folle: per la voce di Pedersini, per il melodrammone, per la musica meravigliosa; potrei fare un lungo discorso su come il passo da Jack Folla a Beppe Grillo sia realmente brevissimo, ma mi fermo qui e dico solo che "Alcatraz" è il mio pass per il fantastico mondo di RadioDue; iniziando dalla notte risalgo per scoprire Dispenser, Alle otto della sera, Caterpillar, Il ruggito del coniglio. Gli ultimi due, però, sono successivi a questo primo incontro: c'era ancora una radio fondamentale da scoprire.

Radio Popolare, ovviamente. Ho vissuto un anno ascoltando Radio Popolare dal mattino alla sera, un'indigestione che fa sì che ora sia quella su cui mi è più difficile sintonizzarmi. Radio Popolare è un circuito di radio con alcuni programmi in comune; è marcatamente di sinistra, marcatamente intelligente, marcatamente divertente. I live dell'Auditorium sono quasi sempre inascoltabili, il Telefono aperto rivela inaspettato pubblico leghista, il programma sulla musica folk - che è quello su cui incoccio ogni domenica, rientrando a Milano dopo il weekend - è spilli nelle orecchie. Le mie vicine di piano si svegliano sentendomi ridere, ogni mattina, con Sansone. Bellissimo periodo.

Vengo traviata da una vicina di piano fricchettona e ascolto per un po' anche LifeGate. Dopo l'overdose di parole di Radio Popolare, Life Gate è un paradiso: musica tranquillissima e nessuno che apre bocca, nemmeno una pubblicità di arredi etnici, niente! Infatti la abbandono presto.

E ora? Le prime tre resistono. In particolare, le radio domestiche sono sintonizzate di default su RockFM.
Mi chiedo a quanto riusciranno a resistere davanti a LastFm, ma anche no perché ho sonno.



P.S. Il sonno, appunto. Lo dicevo io, che m'ero dimenticata qualcosa...
Bisogna passare il meme - ah, che emozione raddoppiata!
Vediamo a chi posso passarlo senza rischiare una fucilata... Io direi a Fiodor (che ne darà un'interpretazione tutta sua, come sempre!), a Oscaruzzo (che ascolta tante canzoni) e a spineless (che è un po' che non lo sento, ne approfitto).
Buona giornata miei cari!

lunedì 22 ottobre 2007

la stazione centrale di milano

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Viaggio in treno.
Viaggio in treno, non posso né voglio fare altrimenti. Sono quasi dieci anni che percorro la tratta Genova-Milano e ritorno, in certi mesi una volta alla settimana, in certi anni una al mese. Quando ero giovane e illusa, avevo addirittura il taccuino da viaggio, un'orrenda Moleskine a quadretti. Orrenda non la Moleskine in sé (anche, eh), ma i quadretti; io odio i quadretti. Un regalo di una persona che ci credeva molto più di quanto abbia fatto io. La storia della mia vita: circondata da persone che ci credono.
Comunque. Uno scrittore con cui avevo una bella corrispondenza un giorno mi scrisse: a nessuno interessa di te, racconta piuttosto delle Storie. Io non avevo alcuna intenzione né di raccontare di me, né di raccontare delle storie; ma un sacco di gente insisteva a farmi scrivere. A me bastava scrivere belle lettere e buoni esami di sociologia, ma ciò non era sufficientemente creativo per gli altri. Così, quasi per accontentarli, ho utilizzato l'orrenda Moleskine come diario di viaggio. Descrivevo gli altri passeggeri, nei minimi particolari; descrivevo il paesaggio al di là del finestrino. Il paesaggio, beh, non offriva molta sponda; i passeggeri invece davano un sacco di soddisfazioni.

Beh, ma questo non c'entra nulla.
Sono quasi dieci anni che viaggio in treno, e ho visto un decadimento del servizio impressionante, che ognuno dei pendolari che mi legge può confermare; ma nulla ti può davvero preparare alla Stazione Centrale di Milano.

Io non ho idea di cosa diavolo sia accaduto a Milano. L'amministrazione di centro-destra? Certo, è un dato importante quando si parla di servizi sociali e spesa pubblica, ma non so quanto possa incidere sulla vivibilità della città. La recessione? L'immigrazione? La sovrappopolazione? L'inquinamento? L'anoressia? I lit-blog? Non riesco realmente a trovare una causa a questa rovina. Rispetto a Genova, che apparentemente malvolentieri si reinventa dal nulla e con successo, rispetto a Torino che scopro più bella, più interessante, più vivace a ogni visita, Milano sembra una città distante, sconfitta; sulle cugine ha ancora un vantaggio, quello delle maggiori opportunità lavorative, che però sembra frutto solo di una distrazione, una dimenticanza o un'illusione ottica.

La Stazione Centrale è un incubo. Ma per favore, sia chiaro, non sto parlando di borseggiatori o tossicodipendenti o altre amenità, sto parlando solo ed esclusivamente della stazione in sé.
I lavori che vi stanno effettuando da mesi, a differenza di quanto accade in altre città, hanno reso praticamente inaccessibile la stazione; chi non la conosce e soprattutto non conosce il cantiere, facile che si ritrovi intrappolato tra labirintiche paratie di legno, che già da sole basterebbero a garantire l'insicurezza di ogni viaggiatore.
Finora, l'unico risultato di questi grandi cantieri è stato il posizionare, a ogni binario, tre o quattro schermi lcd che trasmettono pubblicità a rotazione; pochi commercial, in heavy rotation, da cui è impossibile sfuggire. L'audio della pubblicità viene trasmesso con gli stessi autoparlanti che annunciano gli avvisi relativi al traffico ferroviario; peccato che questi ultimi siano gracchianti e indecifrabili, mentre i BimbiBurini della TIM Tribù, morissero loro e tutti i loro parenti fino al settimo grado, ti perforano le orecchie con cristallini squilli di idiozia.

Causa lavori, è chiuso l'unico bar in cui sedersi a bere un caffè in attesa del treno.
La sala d'aspetto è lugubre, ha solo un paio di monitor dove controllare il traffico, e oltretutto è lontana dai binari, troppo per chi deve guadare il mare di viaggiatori incazzati portandosi appresso valigie e bambini.
Non ci sono altri posti dove sedersi.
Ci sono, verso la fine dei binari, poche panchine di marmo, prive di schienali, sporche di liquidi appiccicosi e di sigarette bagnate, e troppo vicine ai vagoni per non rimanere nauseati dall'odore delle macchine. Ma non è solo una questione igienico/olfattiva: coloro che aspettano, aspettano vicino ai cartelloni, perché ancora non sanno verso quale binario avviarsi. Quindi le panchine non hanno senso se non là dove la gente aspetta: prima dei binari.
Invece no: quello è il luogo in cui puoi trovare TUTTO tranne un luogo pulito dove sedersi.
Tra inservienti che manovrano muletti, promoter di bibite gassate o di telefonia mobile, rappresentazioni di cartone della navicella dei Fantastici4, edicole in soprannumero, statuine sbarluccicanti di santi, beati o santisubito, i viaggiatori in attesa rimangono in piedi come cavalli in stato comatoso, schivando le minacce (piccioni, viaggiatori più aggressivi, bambini suicidi eccetera) con sofferenza, mentre risuona senza sosta il becero spot TIM del giorno.
Le persone anziani, prostrate, cercano di sedersi là dove il piedistallo degli schermi pubblicitari sporge di quei cinque centimetri sui quali, un po' in bilico, se ci si accontenta ci si riesce ad appoggiare per qualche minuto.

Non esagero nulla, volutamente non uso il mio solito tono enfatico. E' così, semplicemente. Un incubo.
Senza nominare le code alle biglietterie, i distributori automatici di biglietti che accettano solo ed esclusivamente pagamenti con carta di credito o bancomat, la mancanza di qualsiasi indicazione all'interno e fuori dalla stazione, la sporcizia, il guano di piccione che macchia qualsiasi superficie, l'odore nauseabondo (ah no, questo l'ho detto), l'illuminazione inadeguata, il numero esiguo di cartelloni degli orari, la mancanza pressoché assoluta di schermi che informino sui treni in partenza e in arrivo (ci credo, gli schermi sono già occupati dalle pubblicità) - insomma potrei continuare per un'altra ora, dato che non c'è una singola cosa efficiente o anche solo sensata in questa stazione.

Milano. La Stazione Centrale di Milano, gente.
Mi chiedo, semplicemente, come sia possibile. Come sia possibile che un dirigente, un amministratore, un responsabile, non debba rendere conto di tale sfacelo a nessuno, o meglio, di come tali persone probabilmente non percepiscano tale sfacelo, o magari nemmeno lo conoscano.
Questa città sta cadendo a pezzi, sotto lo sguardo smarrito dei suoi indaffaratissimi abitanti, i quali sono troppo occupati a morire di lavoro per accorgersi che qualcosa è cambiato, che hanno puntato sul cavallo sbagliato, che la barca affonda e nessuno ha preso lezioni di nuoto.

E io, porco cane, non ho voglia di emigrare a Berlino, sia chiaro.
.

giovedì 18 ottobre 2007

martedì 16 ottobre 2007

l'altra


Così, dopo un paio di riunione capeggiata, in modo gentile ma fermo e finanche severo, da Tony Stark, riunione in cui ho imparato soprattutto che
1) non c'è alcun motivo per offrirsi di fare un lavoro che possono benissimo fare altre persone, a meno che tu non voglia farti la reputazione di grande lavoratrice a cui affidare lavori per cui altri non si offrono, cosa che, dio mi è testimone, non avverrà mai,
2) ci vuole molto poco a far credere agli altri di possedere una competenza unica, e altresì a far credere che, potendo, tu faresti lavori complicatissimi e difficili, è solo che non ti viene offerto lo spazio

Al termine di questa riunione, mentre tra frizzi e lazzi mi faccio accompagnare a casa dalla più giovane (e più avanti di me di un paio d'anni, eh, en passant), dico
- Ma è sapere condiviso

(sì, sapere condiviso. è una forma di umorismo che consiste nell'utilizzare in un contesto informale espressioni formali, in questo caso appartenenti al nostro "gergo scientifico" (ah-ha), come una forma di collettiva autoironia, che in realtà è falsissima, perché questo "umorismo" non è altro che un'estrema, definitiva forma di dichiarazione di appartenenza al gruppo, poiché serve a dimostrare una tale proprietà di linguaggio da poter piegare i termini a esprimere i significati più diversi. è tremendo, lo so, non ditemi niente)

- Ma è sapere condiviso che Xxx è UGUALE a Robert Downey Junior, vero?
Al che segue una preoccupante esplosione di ilarità:
- Ahaha, no, ahah, verissimo!!

Così che io allarmatissima penso: Ma se non si sono resi conto di questa somiglianza... vuoi dire che non hanno visto nemmeno l'ALTRA??

E rimango così, sulle spine, sapendo che dovrà passare almeno un anno perché io abbia sufficiente confidenza, con chiunque, per osare dire quel nome, sapendo che sarò troppo stupida per aspettare un intero anno, in un momento di stanchezza, leggerezza, bisogno d'amore lo dirò e sarà la mia fine.

lunedì 15 ottobre 2007

save the cheerleader? save the world?

Io so cosa scrivere, oggi, per il blog action day.
La risposta ce l'ho, ed è sempre la stessa, tanto che ormai sono diventata realmente monotona.


L'ambientalismo, mi dispiace gente, ha un costo.


venerdì 12 ottobre 2007

addicted to Blogger

70%How Addicted to Blogging Are You?

L'ultima domanda del test qui sopra è stata terribilmente significativa:

"When this quiz is over, do you plan on blogging about your blogging addiction?"

Che io passi troppo tempo su internet, è indubbio. Non riesco a evitarlo, se sono in casa: quindi, in questo periodo in cui non ho impegni fissi, tornerò a studiare in biblioteca. Questa settimana ho davvero esagerato, sia per recuperare (un mese senza connessione è decisamente TROPPO, figlioli), sia per questa cosa del cambio di blog.

Com'è Blogger?
Semplice. Esageratamente semplice. Questa roba qui a lato, lo dico per gli splinderiani, non l'ho inserita modificando il template in "html" (see), ma riempiendo degli "elementi", gia differenziati a seconda dell'intento (testo, html, link ecc); disarmante. Comodissimo.

Tipo i widgets di wordpress.com, che era la piattaforma che avevo inizialmente scelto; ma mi fatto impazzire, da spaccare lo schermo a craniate. Ho perso delle ore cercando di fare questa cosa: un delirio senza pari. Giuro, ci ho provato.
Quindi ho abbandonato l'idea di importare i post, e mi sono dedicata a creare un blog nuovo; oh, sarà stata giornata, ma niente da fare. I template erano pochissimi, non modificabili, o forse sì modificabili ma con conoscenze esoteriche; i widgets non funzionavano; ho provato a creare una pagina apposta per il blogroll, come spiega qui Isadora, ma Bloglines mi ha tirato il pacco (caruccia la versione beta, eh, solo che ormai sono Google-addicted...).

Stavo smanettando da dieci ore senza venire a capo di nulla; ma dato che per le cose inutili divento veramente testarda, non potevo rassegnarmi a finire la giornata senza avere raggiunto il mio scopo. Quindi, come suggerito da una voce amica, sono entrata in Blogger e via.

Ora ne vorrei approfittare per porre a voi qualche domanda di cose che non capisco, ma è tardi e me le sono dimenticate tutte, tranne:
- come si mette una favicon? io l'ho creata, ma né imageshack né allyoucanupload me la lasciano caricare, per via del formato .ico;
- come si integrano le tags di technorati alle normali etichette/categorie dei post?
- come funziona googlepages?
- perché tutti usano gtalk che fa veramente schifo? (ah, no, questa non c'entra...)
(seguirà)

Buonanotte cari!

mercoledì 10 ottobre 2007

"A casa d’Irene stasera si va"

"42 orizzontale: Una Papas attrice."
Ecco dove m'è servito il mio nome di battesimo. Nelle parole crociate.

Per il resto, quand'ero piccola questo nome mi era alquanto sgradito. A me piacevano i nomi ebraici di tre sillabe e possibilmente piani, come Michela, Manuela, Noemi, al limite pure Daniela. Insomma, diciamo: senza la erre.
Sì, perché io la erre, fino ai cinque, sei anni, non la pronunciavo proprio bene. Non che avessi la erre moscia, era più... tipo gli inglesi, no? In pratica la saltavo. Anche la esse mi dava serie difficoltà, e se non sbaglio c'era qualche altra lettera su cui ero un po' incerta.
In pratica, di quello che dicevo io non ci capiva un cazzo nessuno. Tornavo dall'asilo quasi sempre in lacrime perché qualche maestra m'aveva rimproverato per un'azione della quale non ero riuscita a discolparmi, sempre a causa della distanza linguistica.
Tipo "Incompreso", per capirci.
Infine m'hanno mandata da una logopedista e in un baleno ho capito tutto e sono diventata la più insopportabile logorroica della famiglia. Cioè, lo ero già, ma prima non si sapeva cosa stessi dicendo. Tempi che i miei genitori rimpiangono ancora, per dire.

Solo che la erre, gente, la erre ancora adesso è un problema. Non si sente, ma faccio ancora un po' di fatica, soprattutto quando sono stanca o me la trovo accanto ad altre consonanti; in ogni modo, è la lettera dell'alfabeto che più mi sta antipatica.
(insieme alla gi, perché si approfitta della effe che è un po' tonta; la e se ne accorge e lo denuncia, ma purtroppo la gi detiene i mezzi di produzione per cui non le si può fare molto. anche la di ha un brutto carattere, sta un po' sulle sue, ma credo sia per il suo accento straniero. la i è molto viziata, e la esse si crede chissà chi... insomma, nessuna lettera è proprio uno stinco di santo, ma la erre è la peggiore e basta.)

Insomma, un nome con dentro la lettera più antipatica, già partiva male.

Poi, un giorno mentre stavo inventando una storia (di principesse guerriere, eh, le solite cose) avevo bisogno di un nome da principessa e mia mamma mi ha detto di guardare nelle pagine rosa lì in fondo al suo vecchio dizionario. Così ho scoperto che il mio nome significava Pace.
Bella cosa, eh, dato che alle elementari ci rimbambivano di temi sulla Resistenza e che bella che è la pace nel mondo che sapete bambini o meglio voi non lo sapete ma sono gli anni Ottanta e personalmente ci caghiamo sotto pensando al nucleare, quindi viva la pace e abbasso la droga, quindi giù di temi sulla pace, una volta ho scritto una poesia sulla pace che ha vinto il primo premio della scuola, che io ho pensato bella lì ma alla fin fine non è mica 'sto granché, perché gli adulti spesso vanno in solluchero per delle cose che fanno i bambini che sono realmente delle cavolate, e magari non danno peso a cose meravigliose tipo quando imparano a pronunciare la esse, ma va beh.
Dicevo, bella cosa ma insomma anche un po' impegnativa, voglio dire, non potevo chiamarmi Foresta, Graziosa, Principessa o Dioèconnoi come tutte, no, pure il valore universale dovevo portarmi sul groppone. Non bastava: dato che la cosa degli adulti di sopra è prima, ogni estraneo/a che mi avvicinava sentiva la necessità di dirmi: "Ma che bel nome! Ma lo sai cosa significa?", o la variante Arancia Meccanica: "Eh, che bambina pestifera, non dovevano mica chiamarti Irene!".

Io, quando ero piccola, odiavo tutti.

Soprattutto mia nonna paterna. Mia nonna la odio ancora adesso, a dire il vero. Mia nonna è il Male, guardate che non sto scherzando. Mia nonna è Minnie Castevet, la vicina satanista di Rosemary's Baby. Mia nonna è la babysitter in "The Omen". E' un Mr. Burns con la pensione di invalidità. Ridete, ridete, un giorno mia nonna vi ghermirà dal buio e vi trascinerà negli inferi, e allora vi pentirete delle vostre sciocche risa.
Mia nonna deplora due cose sopra ogni altre: sua suocera e sua nuora. Io assomiglio a sua suocera e sono la figlia di sua nuora. Il nostro rapporto è stato idilliaco fin dal primo giorno.
Secondo mia nonna, Irene è proprio un nome del cazzo.

Con tutte queste premesse, una dopo averci pensato un po' cerca di indagare il problema alla fonte.
"Mamma, ma PERCHE' mi avete chiamato Irene?"
"Per una canzone che mi piaceva."

Ora.
Avevo un amico di nome Pierpaolo. I suoi genitori volevano omaggiare Pasolini.
Io mi chiamo Irene perché a mia mamma piaceva il ritornello di una canzone di Nico Fidenco.
Nico Fidenco, vi rendete conto? Quello delle sigle dei cartoni animati! Quello di BEM, quello di Sam, il ragazzo del West!
Questa canzone, non si sapeva di cosa parlasse. Sapevo che a casa di quest'Irene si ballava e si rideva, e tutti andavano a casa sua per stare allegri. Io mi vedevo la cameretta invasa da bambini festaioli e già mi giravano i coglioni.

Dopo molti anni mi sono ricordata di questa famosa canzone. L'ho cercata, l'ho trovata e l'ho ascoltata.
Primo: è una canzone tristissima. Ma deprimente, proprio. A un certo punto, non paghi di un iniziale "paese deserto e senza cielo", per dare meglio l'idea si cita pure Montale.
Secondo: Irene evidentemente è la tenutaria di un night club, di un bordello o casa d'appuntamenti che dir si voglia.
Terzo: tutto ciò è meraviglioso. E' così perfetto, nel suo cumularsi di equivoci e coincidenze, che ne sono quasi commossa.
Da quando l'ho realizzato, un paio di mesi fa, ho deciso che avrei dovuto chiamare il mio blog con il titolo della canzone, appunto "A CASA DI IRENE", perché più di qualsiasi nick stravagante esprime alla perfezione il casino devastante, e buffo, della mia vita.



A casa di Irene - Nico Fidenco, 1965

I giorni grigi sono le lunghe strade silenziose
Di un paese deserto e senza cielo

A casa d’Irene si canta si ride
C’è gente che viene, c’è gente che va
A casa d’Irene bottiglie di vino
A casa d’Irene stasera si va

Giorni senza domani e il desiderio di te
Solo quei giorni che sembrano fatti di pietra
Niente altro che un muro
Sormontato da cocci di bottiglia

A casa d’Irene si canta si ride
C’è gente che viene, c’è gente che va
A casa d’Irene bottiglie di vino
A casa d’Irene stasera si va


E poi, ci sei tu a casa d’Irene
E quando mi vedi tu corri da me
Mi guardi negli occhi, mi prendi la mano
Ed in silenzio mi porti con te

A casa d’Irene si canta si ride
C’è gente che viene, c’è gente che va
A casa d’Irene bottiglie di vino
A casa d’Irene stasera si va

Giorni senza domani e il desiderio di te
Nei giorni grigi io so dove trovarti
I giorni grigi mi portano da te
A casa d’Irene, a casa d’Irene

A casa d’Irene si canta si ride
C’è gente che viene, c’è gente che va
A casa d’Irene bottiglie di vino
A casa d’Irene stasera si va
...

martedì 9 ottobre 2007

si ricomincia dalla fine...

Mi sono resa conto che questo blog esiste da un anno e una settimana.
Me ne sono resa conto dopo un paio di giorno dall'anniversario, quindi niente festa.

Ovviamente davanti a una ricorrenza come questa, è tempo di bilancio.
Bene, io sono molto contenta di questo blog. Da molti punti di vista.
E' il mio veicolo per entrare in un mondo di discussioni, spiritosaggini, riflessioni e quant'altro che mi ha innamorata fin dall'inizio. E' letto da poche persone, ma splendide: ogni volta che l'utente X, con la crapa che c'ha, passa a leggere il mio post, addirittura mi lascia una frase di commento, divento tutta rossa e gongolante e penso che sì, chissà, forse davvero ho scritto qualcosa di carino.
E' anche il mio veicolo per entrare nel magico mondo del web 2.0 e capirne le opportunità. Non sarò mai una geek, non fosse altro che perché me ne mancano le capacità, ma gli strumenti di comunicazione e di condivisione che sto sperimentando in questa dimensione inevitabilmente influenzano il mio modo di pensare il presente e di immaginare modalità di osservarlo e magari comprenderlo.
E' infine lo sfogo della mia incerta, mediata manualità, o meglio del mio maniacale, pignolo perfezionismo: la soddisfazione che ho provato a modificare la grandezza della colonna centrale del template, o a mettere un link sotto un'immagine, io che fino a un anno fa mi ritenevo un'utente PRO perché usavo ctrl+c invece del tasto destro del mouse, beh queste soddisfazioni non ve le posso nemmeno spiegare.
Questo blog mi piace un sacco. Davvero.

Una decina di giorni fa Blogbabel ha cambiato i suoi criteri di "misurazione" dei blog; si sono rivoluzionate le classifiche (il che basterebbe a mostrare quanto siano aleatorie), e il risultato per quanto mi riguarda è che questo blog si piazza tra i primi 550 tra quelli registrati (che sono quasi 9700, per inciso).
Che dire, è un successone di pubblico e di critica!


Infatti è già tempo di ricominciare da capo.

Il problema principale, ovviamente, è Splinder.
Splinder che è in manutenzione almeno una volta alla settimana, che non mi lascia caricare le immagini dal pc, che non mi consente di pubblicare video - ma soprattutto, soprattutto, che non mi consente di salvare le bozze.
Splinder che verso l'inizio di settembre è impazzito: per qualche giorno ha attribuito date a casaccio e infine mi ha cambiato il template, ingrandendo caratteri a muzzo, senza che io potessi porvi rimedio.
Ora, io non sono né calma né menefreghista, però, abituata a vivere nel disordine mentale e fisico, passo sopra a molte più cose di quanto il mio carattere irascibile permetterebbe. Ma quando qualcosa riesce a oltrepassare la nebbia della mia confusione e mi punge, io divento una belva. Una parte del mio cervello bacato, negli ultimi 15 giorni, ha continuato a macinare incazzatura fino a convincermi ad abbandonare Splinder: abbandonare questo blog.

Un altro motivo, più importante e più antico, riguarda la questione del nome.
L'estate scorsa avevo aperto uno spazio privato su msn (accessibile solo agli amici) che usavo realmente come sfogo delle mie pene d'amore. Bella cosa, eh; ma le pene d'amore invecchiano male, e in breve il pozzo della mia disperazione era diventato involontariamente ridicolo. Morta lì.
Però l'esperimento mi aveva fatto riflettere. L'idea del diario personale poneva numerosi problemi, anche solo di carattere pratico: dato che in internet giro da 10 anni, e che intorno a internet gira buona parte della mia vita personale (conoscenze, amicizie, amori), se volevo continuare a raccontare di me in quel modo nuovo dovevo in primo luogo tutelare tali relazioni (per una questione di tatto, rispetto, urbanità, quello che volete), scegliendo uno stile di scrittura "leggero", filtrando i contenuti eccetera; ma, per iniziare, mi dovevo accertare di "nascondere" non tanto la mia identità reale, ma soprattutto quell'altra virtuale.
In realtà ora mi sembra di aver esagerato con le precauzioni, come se tutti mi fossero addosso. Ma, anche se il paragone è lontano anni luce dalla mia situazione, mi sembra che la vicenda di Lia possa dimostrare come le cose più "e che sarà mai" a cui si cede - per fare chiarezza, per amore del racconto, anche solo per distrazione - hanno tutte in sé un potenziale nucleo di disastro termonucleare.

Perché "la spostata"? Perché coglie un aspetto di me, quello realmente weird e giusto al limite tra la buffa eccentricità e la pericolosa follia. Perché così aveva preso a chiamarmi/insultarmi un amico, e mi faceva tanto ridere che fin da subito ho pensato potesse diventare il nome di questo blog. Il sottotitolo iniziale era "un'adorabile sociopatica", dato che ignoravo l'esistenza di una sociopatica blogstar; così è diventato "un'adorabile stronza", finché ho deciso che io, stronza, non volevo mica esserlo, e in fondo non lo sono poi così tanto.

Ma ormai questo nick mi sta stretto. Il blog, dove racconto scene di vita quotidiana (non per forza vere, ovviamente, e non per forza mie...), così personale nel modo e nel fine, si presta meno a questo tipo di nickname. Ehi, io sono a favore di nick, pseudonimi, personalità multiple, identità fluide e quant'altro, per il mio personale vissuto e come generale teoria del soggetto; infatti, non mi spoglio di un'identità virtuale per il desiderio di assumerne una reale, ma per assumerne un'altra, sempre necessariamente costruita, che semplicemente trovo più adatta al contesto.
Il mio nuovo nickname non sarà altro che il mio nome.

Ciao, mi chiamo Irene.
E questo è il mio nuovo blog.
Ci vediamo lì, da me.