mercoledì 31 ottobre 2007

cellula dormiente

A questo punto, l'unica spiegazione plausibile è che il mio coinquilino sia un agente del Mossad che ha dedicato anni di duro addestramento alla sua unica missione: farmi impazzire per deprivazione del sonno.
Perché l'altra ipotesi, quella che si tratti semplicemente del deficiente più egoista e/o dell'egoista più deficiente della città, è troppo fantascientifica per essere vera.

domenica 28 ottobre 2007

new age

Il mio corpo si sta prendendo delle licenze che non posso ammettere.

E' bastato allentare un poco il guinzaglio e m'è diventata una rivoltosa, davvero.
Lo sapevo, io. Lo sapevo da subito. Aveva ragione Kundera, aveva.
Ma si sa che quelli lì gli bastan due paroloni per confondere i tipi come me, che mica hanno studiato. Così ho abboccato, miseriaccia.
Perfino a quella storia che il corpo e la mente hanno pari diritti! Ma dove si è mai sentita? Un corpo femmina, poi! Ma andiamo!
E l'istruzione, io lo dicevo che a farla studiare diventava arrogante e avrebbe preteso di comandare. Ma loro no: la consapevolezza, la libertà, l'armonia - ed eccomi qui!

Ha iniziato con il mal di schiena.
Poi le sono venute mille orticarie da stress e s'è scoperta sensibilissima a tutto, così mi faccio male in continuazione e mi raccomando dopo la doccia la cremina sennò la pelle.
E non mi posso mettere le lenti perché c'ha qualcosa alla lacrimazione.
E alla soglia dei 28 anni teniamoci i punti neri, perché mangio male; non so se mi spiego, si permette di giudicare cosa mangio.
E le si sposta il bacino perché non faccio ginnastica: sembra che ho una gamba più corta dell'altra... e chi lo paga il servizio sartoria?
E la tendinite perché sto troppo al computer e non uso in modo equilibrato i muscoli del - ma che vada a fanculo lei coi suoi muscoli!

E la cervicale. No, un attimo, come la cervicale, quella roba che ha mia zia di settant'anni? Sì, quella. Ma come mai? Eh, si vede che stai seduta male - no ma come io e io, io non c'entro nulla, è LEI che ha la cervicale, che s'è messa in testa che c'ha la cervicale, ora basta darmi la colpa! Come sto seduta, come mangio, come mi muovo, dove vado, ma si faccia un po' gli affaracci suoi una buona volta nella sua vita!
Non avessi dato retta a quei fricchettoni, le cose qui sarebbero ancora al loro posto, con io che comando e lei che obbedisce e zitta.

Cavolo, e questo dente? Mi si è spostato pure il dente?
No, ma se la becco la rovino.

sabato 27 ottobre 2007

sortita

E' quando ti ritrovi a sgattaiolare fuori dalla tua camera alle due di notte, per ritornarvi con un barattolo di quasinutella in mano, un sacchetto di quasibrioche nell'altra, e un coltello tra i denti, che capisci che le pessime compagnie stanno iniziando a fuorviarti.
.

venerdì 26 ottobre 2007

no fustagno, no party


In giorni come questo qui, nei quali vengo annichilita dalla tristezza, mi chiedo se una persona come me, una persona che può smettere di funzionare all'improvviso e per un tempo indeterminabile, non abbia il dovere di astenersi.
Volevo scrivere "astenersi da" e specificare, ma l'elenco sarebbe stato lungo e noioso. Il senso tanto si capisce.

In ogni modo, penso di avere finalmente capito una, forse la principale ragione del mio successo universitario.

Mi vesto malissimo. Mi vesto così male, che ogni tanto controllo se per caso appaio tra le Malvestite, sicuramente nella categoria "arte povera".
Il mio stile grunge-fricchettone-intellettuale-scappatadicasa è inconfondibile, penso. Quindi sì, indubbiamente io ho uno stile tutto mio. Ma è terrificante.
Qualche giorno fa, dopo estenuanti cambi d'abito (due - mi stanco presto), prove, tentennamenti e ripensamenti, sono uscita di casa che sembravo qualcosa a metà tra un marinaio marsigliese e un brigatista. Con lo stesso taglio di capelli che sfoggiava Ringo nel 1964, oltretutto.
No ma il punto è che m'ero vestita bene, perché capisca che ci tengo.
Mi chiedo in che modo mi concerei se il messaggio fosse me ne frego e/o muori.

Lì ho avuto l'illuminazione.
I professori, quelli della commissione, devono aver pensato che una giovane che si veste tanto male deve per forza essere un'intellettuale, sapete, una di quelle persone profonde che non badano all'apparenza e all'effimero, una di quelle che studiano e lavorano sodo, insomma una da premiare.
Quale errore.
Mi dispiace.
E ora?
.

mercoledì 24 ottobre 2007

il mio primo meme

Su insistenza di Orazio, eccomi qui a compilare il Radio Meme, per tornare al cazzeggio affinché nessuno si faccia venire strane idee in testa che qui si scrivano cose belle e sensate.

Radio, per me, significa adolescenza.
In casa mia non si ascoltava radio; mio padre aveva un centinaio di cassette di cui non era geloso, anzi, amava condividere la sua passione per la musica. Alan Parsons Project, Genesis, Dire Straits, Pink Floyd, cantautori italiani: ecco la colonna sonora della mia infanzia.
(ora invece c'è il blues inglese. da anni, mio padre ascolta blues inglese. bello eh, per carità. almeno si è stabilizzato: prima andava a periodi, con passioni dirompenti e intense, fortunatamente brevi. il periodo beatles è uno dei più virulenti, ma i giorni più soffocanti della mia vita domestica sono stati quelli in cui si era ricordato dei nomadi. i nomadi, ogni giorno, tutto il giorno, per settimane.)
Mia madre, quando finalmente suo marito spegneva quel maledetto stereo, ne aveva assai della musica; per lei la radio si ascoltava al lavoro, faceva compagnia e c'erano gli sceneggiati.

Primo incontro radiofonico: RockFM.
Era il 1998, e Karma Police era il Rock Shock della settimana, ossia veniva trasmesso ogni due ore. Il dj Roccia conduceva la trasmissione delle dediche, Max era ancora in consolle e sarebbe passato del tempo prima che si arrischiasse a condurre Ora buca, un'intera trasmissione tutta per sé (ora ha tre ore quotidiane), Claudia non riusciva a finire un Tour de Force (elenco dei concerti) senza impappinarsi, la sera c'era uno spin-off di Rumore, eccetera. Bellissima radio. Come dice il nome, solo ed esclusivamente musica rock: dal blues (again) al metal, dal cross-over all'indie, all'americana, a quel che passa il convento. Nei giorni festivi c'è una probabilità su cinque che sintonizzandosi a tradimento si becchi "The House of the Rising Sun" degli Animals - non chiedetemi il perché.
Questa è la radio di Eclettica, il programma di Giulio Caperdoni, l'unico che ascolti in podcast.

Primo anno di università, ovviamente non mi sono portata in pensionato lo stereo (tanto è vecchio e non funziona: riciclo quelli di mio padre). Ho una radio con lettore cd e cassetta, lo stesso che in questo momento, nove anni dopo, ho portato in questa casa. Ho comprato Scarp de' Tenis, perché sono di sinistra e studio sociologia; all'interno leggo di questo programma, "Alcatraz" di Diego Cugia, che mischia programma musicale a sceneggiato: il dj è un personaggio inventato dall'autore, Jack Folla, condannato a morte in un carcere americano, che ha ottenuto il permesso di condurre questo programma, in cui racconta la sua vita e mette la sua musica. Amore folle: per la voce di Pedersini, per il melodrammone, per la musica meravigliosa; potrei fare un lungo discorso su come il passo da Jack Folla a Beppe Grillo sia realmente brevissimo, ma mi fermo qui e dico solo che "Alcatraz" è il mio pass per il fantastico mondo di RadioDue; iniziando dalla notte risalgo per scoprire Dispenser, Alle otto della sera, Caterpillar, Il ruggito del coniglio. Gli ultimi due, però, sono successivi a questo primo incontro: c'era ancora una radio fondamentale da scoprire.

Radio Popolare, ovviamente. Ho vissuto un anno ascoltando Radio Popolare dal mattino alla sera, un'indigestione che fa sì che ora sia quella su cui mi è più difficile sintonizzarmi. Radio Popolare è un circuito di radio con alcuni programmi in comune; è marcatamente di sinistra, marcatamente intelligente, marcatamente divertente. I live dell'Auditorium sono quasi sempre inascoltabili, il Telefono aperto rivela inaspettato pubblico leghista, il programma sulla musica folk - che è quello su cui incoccio ogni domenica, rientrando a Milano dopo il weekend - è spilli nelle orecchie. Le mie vicine di piano si svegliano sentendomi ridere, ogni mattina, con Sansone. Bellissimo periodo.

Vengo traviata da una vicina di piano fricchettona e ascolto per un po' anche LifeGate. Dopo l'overdose di parole di Radio Popolare, Life Gate è un paradiso: musica tranquillissima e nessuno che apre bocca, nemmeno una pubblicità di arredi etnici, niente! Infatti la abbandono presto.

E ora? Le prime tre resistono. In particolare, le radio domestiche sono sintonizzate di default su RockFM.
Mi chiedo a quanto riusciranno a resistere davanti a LastFm, ma anche no perché ho sonno.



P.S. Il sonno, appunto. Lo dicevo io, che m'ero dimenticata qualcosa...
Bisogna passare il meme - ah, che emozione raddoppiata!
Vediamo a chi posso passarlo senza rischiare una fucilata... Io direi a Fiodor (che ne darà un'interpretazione tutta sua, come sempre!), a Oscaruzzo (che ascolta tante canzoni) e a spineless (che è un po' che non lo sento, ne approfitto).
Buona giornata miei cari!

lunedì 22 ottobre 2007

la stazione centrale di milano

.
Viaggio in treno.
Viaggio in treno, non posso né voglio fare altrimenti. Sono quasi dieci anni che percorro la tratta Genova-Milano e ritorno, in certi mesi una volta alla settimana, in certi anni una al mese. Quando ero giovane e illusa, avevo addirittura il taccuino da viaggio, un'orrenda Moleskine a quadretti. Orrenda non la Moleskine in sé (anche, eh), ma i quadretti; io odio i quadretti. Un regalo di una persona che ci credeva molto più di quanto abbia fatto io. La storia della mia vita: circondata da persone che ci credono.
Comunque. Uno scrittore con cui avevo una bella corrispondenza un giorno mi scrisse: a nessuno interessa di te, racconta piuttosto delle Storie. Io non avevo alcuna intenzione né di raccontare di me, né di raccontare delle storie; ma un sacco di gente insisteva a farmi scrivere. A me bastava scrivere belle lettere e buoni esami di sociologia, ma ciò non era sufficientemente creativo per gli altri. Così, quasi per accontentarli, ho utilizzato l'orrenda Moleskine come diario di viaggio. Descrivevo gli altri passeggeri, nei minimi particolari; descrivevo il paesaggio al di là del finestrino. Il paesaggio, beh, non offriva molta sponda; i passeggeri invece davano un sacco di soddisfazioni.

Beh, ma questo non c'entra nulla.
Sono quasi dieci anni che viaggio in treno, e ho visto un decadimento del servizio impressionante, che ognuno dei pendolari che mi legge può confermare; ma nulla ti può davvero preparare alla Stazione Centrale di Milano.

Io non ho idea di cosa diavolo sia accaduto a Milano. L'amministrazione di centro-destra? Certo, è un dato importante quando si parla di servizi sociali e spesa pubblica, ma non so quanto possa incidere sulla vivibilità della città. La recessione? L'immigrazione? La sovrappopolazione? L'inquinamento? L'anoressia? I lit-blog? Non riesco realmente a trovare una causa a questa rovina. Rispetto a Genova, che apparentemente malvolentieri si reinventa dal nulla e con successo, rispetto a Torino che scopro più bella, più interessante, più vivace a ogni visita, Milano sembra una città distante, sconfitta; sulle cugine ha ancora un vantaggio, quello delle maggiori opportunità lavorative, che però sembra frutto solo di una distrazione, una dimenticanza o un'illusione ottica.

La Stazione Centrale è un incubo. Ma per favore, sia chiaro, non sto parlando di borseggiatori o tossicodipendenti o altre amenità, sto parlando solo ed esclusivamente della stazione in sé.
I lavori che vi stanno effettuando da mesi, a differenza di quanto accade in altre città, hanno reso praticamente inaccessibile la stazione; chi non la conosce e soprattutto non conosce il cantiere, facile che si ritrovi intrappolato tra labirintiche paratie di legno, che già da sole basterebbero a garantire l'insicurezza di ogni viaggiatore.
Finora, l'unico risultato di questi grandi cantieri è stato il posizionare, a ogni binario, tre o quattro schermi lcd che trasmettono pubblicità a rotazione; pochi commercial, in heavy rotation, da cui è impossibile sfuggire. L'audio della pubblicità viene trasmesso con gli stessi autoparlanti che annunciano gli avvisi relativi al traffico ferroviario; peccato che questi ultimi siano gracchianti e indecifrabili, mentre i BimbiBurini della TIM Tribù, morissero loro e tutti i loro parenti fino al settimo grado, ti perforano le orecchie con cristallini squilli di idiozia.

Causa lavori, è chiuso l'unico bar in cui sedersi a bere un caffè in attesa del treno.
La sala d'aspetto è lugubre, ha solo un paio di monitor dove controllare il traffico, e oltretutto è lontana dai binari, troppo per chi deve guadare il mare di viaggiatori incazzati portandosi appresso valigie e bambini.
Non ci sono altri posti dove sedersi.
Ci sono, verso la fine dei binari, poche panchine di marmo, prive di schienali, sporche di liquidi appiccicosi e di sigarette bagnate, e troppo vicine ai vagoni per non rimanere nauseati dall'odore delle macchine. Ma non è solo una questione igienico/olfattiva: coloro che aspettano, aspettano vicino ai cartelloni, perché ancora non sanno verso quale binario avviarsi. Quindi le panchine non hanno senso se non là dove la gente aspetta: prima dei binari.
Invece no: quello è il luogo in cui puoi trovare TUTTO tranne un luogo pulito dove sedersi.
Tra inservienti che manovrano muletti, promoter di bibite gassate o di telefonia mobile, rappresentazioni di cartone della navicella dei Fantastici4, edicole in soprannumero, statuine sbarluccicanti di santi, beati o santisubito, i viaggiatori in attesa rimangono in piedi come cavalli in stato comatoso, schivando le minacce (piccioni, viaggiatori più aggressivi, bambini suicidi eccetera) con sofferenza, mentre risuona senza sosta il becero spot TIM del giorno.
Le persone anziani, prostrate, cercano di sedersi là dove il piedistallo degli schermi pubblicitari sporge di quei cinque centimetri sui quali, un po' in bilico, se ci si accontenta ci si riesce ad appoggiare per qualche minuto.

Non esagero nulla, volutamente non uso il mio solito tono enfatico. E' così, semplicemente. Un incubo.
Senza nominare le code alle biglietterie, i distributori automatici di biglietti che accettano solo ed esclusivamente pagamenti con carta di credito o bancomat, la mancanza di qualsiasi indicazione all'interno e fuori dalla stazione, la sporcizia, il guano di piccione che macchia qualsiasi superficie, l'odore nauseabondo (ah no, questo l'ho detto), l'illuminazione inadeguata, il numero esiguo di cartelloni degli orari, la mancanza pressoché assoluta di schermi che informino sui treni in partenza e in arrivo (ci credo, gli schermi sono già occupati dalle pubblicità) - insomma potrei continuare per un'altra ora, dato che non c'è una singola cosa efficiente o anche solo sensata in questa stazione.

Milano. La Stazione Centrale di Milano, gente.
Mi chiedo, semplicemente, come sia possibile. Come sia possibile che un dirigente, un amministratore, un responsabile, non debba rendere conto di tale sfacelo a nessuno, o meglio, di come tali persone probabilmente non percepiscano tale sfacelo, o magari nemmeno lo conoscano.
Questa città sta cadendo a pezzi, sotto lo sguardo smarrito dei suoi indaffaratissimi abitanti, i quali sono troppo occupati a morire di lavoro per accorgersi che qualcosa è cambiato, che hanno puntato sul cavallo sbagliato, che la barca affonda e nessuno ha preso lezioni di nuoto.

E io, porco cane, non ho voglia di emigrare a Berlino, sia chiaro.
.

giovedì 18 ottobre 2007

martedì 16 ottobre 2007

l'altra


Così, dopo un paio di riunione capeggiata, in modo gentile ma fermo e finanche severo, da Tony Stark, riunione in cui ho imparato soprattutto che
1) non c'è alcun motivo per offrirsi di fare un lavoro che possono benissimo fare altre persone, a meno che tu non voglia farti la reputazione di grande lavoratrice a cui affidare lavori per cui altri non si offrono, cosa che, dio mi è testimone, non avverrà mai,
2) ci vuole molto poco a far credere agli altri di possedere una competenza unica, e altresì a far credere che, potendo, tu faresti lavori complicatissimi e difficili, è solo che non ti viene offerto lo spazio

Al termine di questa riunione, mentre tra frizzi e lazzi mi faccio accompagnare a casa dalla più giovane (e più avanti di me di un paio d'anni, eh, en passant), dico
- Ma è sapere condiviso

(sì, sapere condiviso. è una forma di umorismo che consiste nell'utilizzare in un contesto informale espressioni formali, in questo caso appartenenti al nostro "gergo scientifico" (ah-ha), come una forma di collettiva autoironia, che in realtà è falsissima, perché questo "umorismo" non è altro che un'estrema, definitiva forma di dichiarazione di appartenenza al gruppo, poiché serve a dimostrare una tale proprietà di linguaggio da poter piegare i termini a esprimere i significati più diversi. è tremendo, lo so, non ditemi niente)

- Ma è sapere condiviso che Xxx è UGUALE a Robert Downey Junior, vero?
Al che segue una preoccupante esplosione di ilarità:
- Ahaha, no, ahah, verissimo!!

Così che io allarmatissima penso: Ma se non si sono resi conto di questa somiglianza... vuoi dire che non hanno visto nemmeno l'ALTRA??

E rimango così, sulle spine, sapendo che dovrà passare almeno un anno perché io abbia sufficiente confidenza, con chiunque, per osare dire quel nome, sapendo che sarò troppo stupida per aspettare un intero anno, in un momento di stanchezza, leggerezza, bisogno d'amore lo dirò e sarà la mia fine.

lunedì 15 ottobre 2007

save the cheerleader? save the world?

Io so cosa scrivere, oggi, per il blog action day.
La risposta ce l'ho, ed è sempre la stessa, tanto che ormai sono diventata realmente monotona.


L'ambientalismo, mi dispiace gente, ha un costo.


venerdì 12 ottobre 2007

addicted to Blogger

70%How Addicted to Blogging Are You?

L'ultima domanda del test qui sopra è stata terribilmente significativa:

"When this quiz is over, do you plan on blogging about your blogging addiction?"

Che io passi troppo tempo su internet, è indubbio. Non riesco a evitarlo, se sono in casa: quindi, in questo periodo in cui non ho impegni fissi, tornerò a studiare in biblioteca. Questa settimana ho davvero esagerato, sia per recuperare (un mese senza connessione è decisamente TROPPO, figlioli), sia per questa cosa del cambio di blog.

Com'è Blogger?
Semplice. Esageratamente semplice. Questa roba qui a lato, lo dico per gli splinderiani, non l'ho inserita modificando il template in "html" (see), ma riempiendo degli "elementi", gia differenziati a seconda dell'intento (testo, html, link ecc); disarmante. Comodissimo.

Tipo i widgets di wordpress.com, che era la piattaforma che avevo inizialmente scelto; ma mi fatto impazzire, da spaccare lo schermo a craniate. Ho perso delle ore cercando di fare questa cosa: un delirio senza pari. Giuro, ci ho provato.
Quindi ho abbandonato l'idea di importare i post, e mi sono dedicata a creare un blog nuovo; oh, sarà stata giornata, ma niente da fare. I template erano pochissimi, non modificabili, o forse sì modificabili ma con conoscenze esoteriche; i widgets non funzionavano; ho provato a creare una pagina apposta per il blogroll, come spiega qui Isadora, ma Bloglines mi ha tirato il pacco (caruccia la versione beta, eh, solo che ormai sono Google-addicted...).

Stavo smanettando da dieci ore senza venire a capo di nulla; ma dato che per le cose inutili divento veramente testarda, non potevo rassegnarmi a finire la giornata senza avere raggiunto il mio scopo. Quindi, come suggerito da una voce amica, sono entrata in Blogger e via.

Ora ne vorrei approfittare per porre a voi qualche domanda di cose che non capisco, ma è tardi e me le sono dimenticate tutte, tranne:
- come si mette una favicon? io l'ho creata, ma né imageshack né allyoucanupload me la lasciano caricare, per via del formato .ico;
- come si integrano le tags di technorati alle normali etichette/categorie dei post?
- come funziona googlepages?
- perché tutti usano gtalk che fa veramente schifo? (ah, no, questa non c'entra...)
(seguirà)

Buonanotte cari!

mercoledì 10 ottobre 2007

"A casa d’Irene stasera si va"

"42 orizzontale: Una Papas attrice."
Ecco dove m'è servito il mio nome di battesimo. Nelle parole crociate.

Per il resto, quand'ero piccola questo nome mi era alquanto sgradito. A me piacevano i nomi ebraici di tre sillabe e possibilmente piani, come Michela, Manuela, Noemi, al limite pure Daniela. Insomma, diciamo: senza la erre.
Sì, perché io la erre, fino ai cinque, sei anni, non la pronunciavo proprio bene. Non che avessi la erre moscia, era più... tipo gli inglesi, no? In pratica la saltavo. Anche la esse mi dava serie difficoltà, e se non sbaglio c'era qualche altra lettera su cui ero un po' incerta.
In pratica, di quello che dicevo io non ci capiva un cazzo nessuno. Tornavo dall'asilo quasi sempre in lacrime perché qualche maestra m'aveva rimproverato per un'azione della quale non ero riuscita a discolparmi, sempre a causa della distanza linguistica.
Tipo "Incompreso", per capirci.
Infine m'hanno mandata da una logopedista e in un baleno ho capito tutto e sono diventata la più insopportabile logorroica della famiglia. Cioè, lo ero già, ma prima non si sapeva cosa stessi dicendo. Tempi che i miei genitori rimpiangono ancora, per dire.

Solo che la erre, gente, la erre ancora adesso è un problema. Non si sente, ma faccio ancora un po' di fatica, soprattutto quando sono stanca o me la trovo accanto ad altre consonanti; in ogni modo, è la lettera dell'alfabeto che più mi sta antipatica.
(insieme alla gi, perché si approfitta della effe che è un po' tonta; la e se ne accorge e lo denuncia, ma purtroppo la gi detiene i mezzi di produzione per cui non le si può fare molto. anche la di ha un brutto carattere, sta un po' sulle sue, ma credo sia per il suo accento straniero. la i è molto viziata, e la esse si crede chissà chi... insomma, nessuna lettera è proprio uno stinco di santo, ma la erre è la peggiore e basta.)

Insomma, un nome con dentro la lettera più antipatica, già partiva male.

Poi, un giorno mentre stavo inventando una storia (di principesse guerriere, eh, le solite cose) avevo bisogno di un nome da principessa e mia mamma mi ha detto di guardare nelle pagine rosa lì in fondo al suo vecchio dizionario. Così ho scoperto che il mio nome significava Pace.
Bella cosa, eh, dato che alle elementari ci rimbambivano di temi sulla Resistenza e che bella che è la pace nel mondo che sapete bambini o meglio voi non lo sapete ma sono gli anni Ottanta e personalmente ci caghiamo sotto pensando al nucleare, quindi viva la pace e abbasso la droga, quindi giù di temi sulla pace, una volta ho scritto una poesia sulla pace che ha vinto il primo premio della scuola, che io ho pensato bella lì ma alla fin fine non è mica 'sto granché, perché gli adulti spesso vanno in solluchero per delle cose che fanno i bambini che sono realmente delle cavolate, e magari non danno peso a cose meravigliose tipo quando imparano a pronunciare la esse, ma va beh.
Dicevo, bella cosa ma insomma anche un po' impegnativa, voglio dire, non potevo chiamarmi Foresta, Graziosa, Principessa o Dioèconnoi come tutte, no, pure il valore universale dovevo portarmi sul groppone. Non bastava: dato che la cosa degli adulti di sopra è prima, ogni estraneo/a che mi avvicinava sentiva la necessità di dirmi: "Ma che bel nome! Ma lo sai cosa significa?", o la variante Arancia Meccanica: "Eh, che bambina pestifera, non dovevano mica chiamarti Irene!".

Io, quando ero piccola, odiavo tutti.

Soprattutto mia nonna paterna. Mia nonna la odio ancora adesso, a dire il vero. Mia nonna è il Male, guardate che non sto scherzando. Mia nonna è Minnie Castevet, la vicina satanista di Rosemary's Baby. Mia nonna è la babysitter in "The Omen". E' un Mr. Burns con la pensione di invalidità. Ridete, ridete, un giorno mia nonna vi ghermirà dal buio e vi trascinerà negli inferi, e allora vi pentirete delle vostre sciocche risa.
Mia nonna deplora due cose sopra ogni altre: sua suocera e sua nuora. Io assomiglio a sua suocera e sono la figlia di sua nuora. Il nostro rapporto è stato idilliaco fin dal primo giorno.
Secondo mia nonna, Irene è proprio un nome del cazzo.

Con tutte queste premesse, una dopo averci pensato un po' cerca di indagare il problema alla fonte.
"Mamma, ma PERCHE' mi avete chiamato Irene?"
"Per una canzone che mi piaceva."

Ora.
Avevo un amico di nome Pierpaolo. I suoi genitori volevano omaggiare Pasolini.
Io mi chiamo Irene perché a mia mamma piaceva il ritornello di una canzone di Nico Fidenco.
Nico Fidenco, vi rendete conto? Quello delle sigle dei cartoni animati! Quello di BEM, quello di Sam, il ragazzo del West!
Questa canzone, non si sapeva di cosa parlasse. Sapevo che a casa di quest'Irene si ballava e si rideva, e tutti andavano a casa sua per stare allegri. Io mi vedevo la cameretta invasa da bambini festaioli e già mi giravano i coglioni.

Dopo molti anni mi sono ricordata di questa famosa canzone. L'ho cercata, l'ho trovata e l'ho ascoltata.
Primo: è una canzone tristissima. Ma deprimente, proprio. A un certo punto, non paghi di un iniziale "paese deserto e senza cielo", per dare meglio l'idea si cita pure Montale.
Secondo: Irene evidentemente è la tenutaria di un night club, di un bordello o casa d'appuntamenti che dir si voglia.
Terzo: tutto ciò è meraviglioso. E' così perfetto, nel suo cumularsi di equivoci e coincidenze, che ne sono quasi commossa.
Da quando l'ho realizzato, un paio di mesi fa, ho deciso che avrei dovuto chiamare il mio blog con il titolo della canzone, appunto "A CASA DI IRENE", perché più di qualsiasi nick stravagante esprime alla perfezione il casino devastante, e buffo, della mia vita.



A casa di Irene - Nico Fidenco, 1965

I giorni grigi sono le lunghe strade silenziose
Di un paese deserto e senza cielo

A casa d’Irene si canta si ride
C’è gente che viene, c’è gente che va
A casa d’Irene bottiglie di vino
A casa d’Irene stasera si va

Giorni senza domani e il desiderio di te
Solo quei giorni che sembrano fatti di pietra
Niente altro che un muro
Sormontato da cocci di bottiglia

A casa d’Irene si canta si ride
C’è gente che viene, c’è gente che va
A casa d’Irene bottiglie di vino
A casa d’Irene stasera si va


E poi, ci sei tu a casa d’Irene
E quando mi vedi tu corri da me
Mi guardi negli occhi, mi prendi la mano
Ed in silenzio mi porti con te

A casa d’Irene si canta si ride
C’è gente che viene, c’è gente che va
A casa d’Irene bottiglie di vino
A casa d’Irene stasera si va

Giorni senza domani e il desiderio di te
Nei giorni grigi io so dove trovarti
I giorni grigi mi portano da te
A casa d’Irene, a casa d’Irene

A casa d’Irene si canta si ride
C’è gente che viene, c’è gente che va
A casa d’Irene bottiglie di vino
A casa d’Irene stasera si va
...

martedì 9 ottobre 2007

si ricomincia dalla fine...

Mi sono resa conto che questo blog esiste da un anno e una settimana.
Me ne sono resa conto dopo un paio di giorno dall'anniversario, quindi niente festa.

Ovviamente davanti a una ricorrenza come questa, è tempo di bilancio.
Bene, io sono molto contenta di questo blog. Da molti punti di vista.
E' il mio veicolo per entrare in un mondo di discussioni, spiritosaggini, riflessioni e quant'altro che mi ha innamorata fin dall'inizio. E' letto da poche persone, ma splendide: ogni volta che l'utente X, con la crapa che c'ha, passa a leggere il mio post, addirittura mi lascia una frase di commento, divento tutta rossa e gongolante e penso che sì, chissà, forse davvero ho scritto qualcosa di carino.
E' anche il mio veicolo per entrare nel magico mondo del web 2.0 e capirne le opportunità. Non sarò mai una geek, non fosse altro che perché me ne mancano le capacità, ma gli strumenti di comunicazione e di condivisione che sto sperimentando in questa dimensione inevitabilmente influenzano il mio modo di pensare il presente e di immaginare modalità di osservarlo e magari comprenderlo.
E' infine lo sfogo della mia incerta, mediata manualità, o meglio del mio maniacale, pignolo perfezionismo: la soddisfazione che ho provato a modificare la grandezza della colonna centrale del template, o a mettere un link sotto un'immagine, io che fino a un anno fa mi ritenevo un'utente PRO perché usavo ctrl+c invece del tasto destro del mouse, beh queste soddisfazioni non ve le posso nemmeno spiegare.
Questo blog mi piace un sacco. Davvero.

Una decina di giorni fa Blogbabel ha cambiato i suoi criteri di "misurazione" dei blog; si sono rivoluzionate le classifiche (il che basterebbe a mostrare quanto siano aleatorie), e il risultato per quanto mi riguarda è che questo blog si piazza tra i primi 550 tra quelli registrati (che sono quasi 9700, per inciso).
Che dire, è un successone di pubblico e di critica!


Infatti è già tempo di ricominciare da capo.

Il problema principale, ovviamente, è Splinder.
Splinder che è in manutenzione almeno una volta alla settimana, che non mi lascia caricare le immagini dal pc, che non mi consente di pubblicare video - ma soprattutto, soprattutto, che non mi consente di salvare le bozze.
Splinder che verso l'inizio di settembre è impazzito: per qualche giorno ha attribuito date a casaccio e infine mi ha cambiato il template, ingrandendo caratteri a muzzo, senza che io potessi porvi rimedio.
Ora, io non sono né calma né menefreghista, però, abituata a vivere nel disordine mentale e fisico, passo sopra a molte più cose di quanto il mio carattere irascibile permetterebbe. Ma quando qualcosa riesce a oltrepassare la nebbia della mia confusione e mi punge, io divento una belva. Una parte del mio cervello bacato, negli ultimi 15 giorni, ha continuato a macinare incazzatura fino a convincermi ad abbandonare Splinder: abbandonare questo blog.

Un altro motivo, più importante e più antico, riguarda la questione del nome.
L'estate scorsa avevo aperto uno spazio privato su msn (accessibile solo agli amici) che usavo realmente come sfogo delle mie pene d'amore. Bella cosa, eh; ma le pene d'amore invecchiano male, e in breve il pozzo della mia disperazione era diventato involontariamente ridicolo. Morta lì.
Però l'esperimento mi aveva fatto riflettere. L'idea del diario personale poneva numerosi problemi, anche solo di carattere pratico: dato che in internet giro da 10 anni, e che intorno a internet gira buona parte della mia vita personale (conoscenze, amicizie, amori), se volevo continuare a raccontare di me in quel modo nuovo dovevo in primo luogo tutelare tali relazioni (per una questione di tatto, rispetto, urbanità, quello che volete), scegliendo uno stile di scrittura "leggero", filtrando i contenuti eccetera; ma, per iniziare, mi dovevo accertare di "nascondere" non tanto la mia identità reale, ma soprattutto quell'altra virtuale.
In realtà ora mi sembra di aver esagerato con le precauzioni, come se tutti mi fossero addosso. Ma, anche se il paragone è lontano anni luce dalla mia situazione, mi sembra che la vicenda di Lia possa dimostrare come le cose più "e che sarà mai" a cui si cede - per fare chiarezza, per amore del racconto, anche solo per distrazione - hanno tutte in sé un potenziale nucleo di disastro termonucleare.

Perché "la spostata"? Perché coglie un aspetto di me, quello realmente weird e giusto al limite tra la buffa eccentricità e la pericolosa follia. Perché così aveva preso a chiamarmi/insultarmi un amico, e mi faceva tanto ridere che fin da subito ho pensato potesse diventare il nome di questo blog. Il sottotitolo iniziale era "un'adorabile sociopatica", dato che ignoravo l'esistenza di una sociopatica blogstar; così è diventato "un'adorabile stronza", finché ho deciso che io, stronza, non volevo mica esserlo, e in fondo non lo sono poi così tanto.

Ma ormai questo nick mi sta stretto. Il blog, dove racconto scene di vita quotidiana (non per forza vere, ovviamente, e non per forza mie...), così personale nel modo e nel fine, si presta meno a questo tipo di nickname. Ehi, io sono a favore di nick, pseudonimi, personalità multiple, identità fluide e quant'altro, per il mio personale vissuto e come generale teoria del soggetto; infatti, non mi spoglio di un'identità virtuale per il desiderio di assumerne una reale, ma per assumerne un'altra, sempre necessariamente costruita, che semplicemente trovo più adatta al contesto.
Il mio nuovo nickname non sarà altro che il mio nome.

Ciao, mi chiamo Irene.
E questo è il mio nuovo blog.
Ci vediamo lì, da me.