mercoledì 2 dicembre 2009

loto e carciofi

Così, per compensare l'increscioso numero di sigarette quotidiane, mi sono iscritta a un corso di yoga. Sì lo so che sembra una roba patetica: femmina, Milano, trent'anni, yoga.
Brrr, a vederlo scritto mi fa spavento.

Ma forse voi non sapete che a yoga ci si fa un culo come una capanna e si suda come maiali, il che rende molto meno radicalchic tutto l'insieme.
Se poi pensate che negli ultimi tre anni l'unica attività fisica che ho compiuto è stata giocare a Diablo 2, potete immaginare il mio stato di prostrazione.
La mia pratica dello yoga quindi consiste nel bestemmiare di fatica, sì, ma solo ogni cinque respiri.

In realtà la cosa del bestemmiare è resa particolarmente trasgressiva dal fatto che la pratica prevede il mantra iniziale e il mantra finale. Ovviamente io, con grande diligenza, ne canto ogni sillaba. Forse la cosa mi è agevolata dal fatto che in Messico ho vissuto quasi un mese in una comune Hare Krisna nella quale la sera, attorno al fuoco, al posto di Baglioni si cantava il Gayatri Mantra.
Nessuno se lo aspetta da un'atea materialista come me, ma la mia interpretazione del "dove mi metti, sto" include un "dove mi metti, mi converto". Il fatto è che nella mia vita ho continuamente incontrato gente che voleva convertirmi a qualcosa, e io per cortesia me ne stavo (e cantavo). Tradotto: finché c'è da scroccare cibo e droghe, chi sono io per oppormi al soffio vitale dell'intelligenza universale dello spirito santo degli alieni maya?

In armonia a questa svolta salutistica e spirituale, il trip del mese è senz'altro FarmVille. Non capisco come questi stupidi giochini di Facebook possano essere così virali, a fronte di ben migliori e più divertenti giochi online tipo OGame o gli infiniti emuli di Civilization o SimCity. Probabilmente perché questi ultimi ti richiedono un'identificazione nel ruolo di "tizio che gioca online", con tutto il corollario di stigma che vanno dall'acne alle difficoltà di erezione; invece se perdi quattro ore e mezza al giorno su Farmville non sei uno sfigato, sei un coraggioso pioniere dei social media.
Beh io no, io porto avanti con orgoglio la mia capacità a sviluppare dipendenze dalla coltivazione di articiocche. Ho comprato il trattore, espanso la fattoria, chiuso in gabbia le galline, e sfrutto intensivamente il terreno usando fertilizzanti chimici che inquinano la terra e l'acqua.
Sto giusto aspettando che insieme alle decorazioni e agli alberi il sistema mi consenta di comprare schiavi negri: il cotone ce l'ho già.

Per finire, le pagine culturali: nessun film bellissimo, mi sembra, ma ho letto "La versione di Barney" ed è proprio bello come si dice e come immaginavo dopo aver letto quell'altro, e gli Isis in concerto sono stati strepitosi.

martedì 17 novembre 2009

ricreazione

Ho ricominciato a fumare. Sono riuscita a evitarlo per quasi un anno, ma ci sono ricascata, complice l'autunno e le interminabili ore in biblioteca.
Quando piove, tengo la sigaretta dentro il palmo, e mi sento tanto cantautore francese.

Ho proprio il bisogno ora di scrivere un po', per ritrovare il piacere di farlo. Ho scritto troppo in quest'ultimo periodo e con troppa fatica.
Vorrei essere capace di dipanare un ragionamento lineare, tranquillo, paziente; invece non riesco a non riportare sulla pagina lo stesso groviglio di collegamenti, intuizioni e sciatterie che caratterizzano il mio modo di pensare.
Sono talmente in ritardo, con il dottorato, che ormai sono scivolata in un'altra dimensione spazio temporale. Mi sento come un'atleta sulla pista dei 5000m, apparentemente piazzata benino, ma che in realtà è stata appena doppiata.

Quindi scrivo un po' stasera, che sembra tardissimo e invece è solo l'inverno e la solitudine. Non si va a dormire finché non si finisce, stasera, e a tenermi compagnia c'è l'avanzo della birra, una puntata di File Urbani dedicata a Malta e i gerbilli, che non si capacitano della luce ancora accesa in cucina e si aggirano senza pace nella loro gabbia.

File Urbani è solo una delle bellissime trasmissioni di Radio 3: da quando improvvisamente la mia radio ne ha captato la frequenza, la mia qualità della vita è decisamente aumentata. Non c'è praticamente programma che non vi consigli col cuore in mano.

I gerbilli invece sono la mia personale versione di animale domestico. Sono come piccoli topi ma più cricetosi; la loro specialità è scavare tunnel, distruggere cartoni e tentare la fuga.

Non penso che per la birra serva un link.


Che altro? Il cielo è plumbeo, l'aria umida e si sta per concludere il primo anno nella nuova casa. Anzi, probabilmente un anno fa sono venuta in questa zona per la prima volta. Odore di foglie bagnate lungo i marciapiedi.

Ho visto un bel po' di film brutti o mediocri, e una manciata di film belli: L'amico di famiglia, Grace, Orphan, Up, Little Children, Trick'r Treat, L'uomo che fissa le capre.

Ho visto i concerti dei Dinosaur Jr. e dei Wilco in concerto; il primo è stato un po' noioso e di maniera, il secondo uno dei più emozionanti mai. Ah prima c'era stato quello di Dan Auerbach & The Fast Five, e penso che il mondo debba sapere quanto sono bravissimi e divertenti ed entusiasti - lui è il cantante dei Black Keys ma mi piace mille volte di più in questa versione blues tex-mex. Ah sì probabilmente sbaglio le etichette, ma è che di musica io non me ne intendo per nulla, bisogna riconoscerlo.

Sì e poi ho aggiornato il netbook a Ubuntu 9.10 Karmic Koala e ne sono così contenta che ormai uso solo questo. Bellissimo e funziona tutto, uno spettacolo.


Beh ora basta, mi sono gratificata pure troppo, i gerbilli stanno impazzendo ed è ora di chiudere.

mercoledì 15 luglio 2009

con gli occhi di un bambino

Li ho letti, per carità, tutti quei libri che parlano di quanto sia bello essere bambini, di quanto profondi siano i bambini, e di quanto si possa imparare dai bambini. Sapete, tipo "l'essenziale è invisibile agli occhi" e via dicendo. Dato che quei libri li ho letti quando ero sufficientemente piccola da non pormi il problema del mio rapporto col mio "bambino dentro", non ricordo la mia reazione.
Però ora che ci penso, voglio dire, che diavolo significa "l'essenziale è invisibile agli occhi"? Di cosa stiamo parlando? Emozioni? Ma le emozioni sono visibilissime. Volete dirmi che non sapete dire, guardandone l'aspetto e il comportamento, se una persona è innamorata, offesa, impaurita, annoiata, intimidita, nervosa, felice? Allora, scusate eh, ma è che siete babbi voi. A meno che si tratti di emozioni nascoste, ma per quanto uno sia un bravo attore, non ci si nasconde a lungo e a tutti. Quindi? "Le cose molto ben nascoste sono difficili da vedere"? Va beh, grazie al cazzo.
O forse parlavate dell'ossigeno, che è invero essenziale e invisibile agli occhi.

La premessa mi è sfuggita di mano; intendevo dire che questa retorica di quanto insomma i bambini siano puri e che bello riuscire a vedere il mondo con gli occhi di un bambino, a me sembra un po' una cagata. Finora, i bambini che ho conosciuto non mi hanno detto nulla di rilevante.
Infatti non riesco a capire che fascino ci sia in queste creature - a parte per le madri a cui immagino scatti qualche sorta di automatismo, boh. Ma gli altri, quelli non coinvolti geneticamente?
"Vedere con gli occhi di un bambino" significa capire come intepreta il mondo un outsider che si trova all'oscuro delle leggi fisiche e delle norme sociali che noi diamo per scontate, penso. Bene, è interessante, fondamentalmente è il programma dell'etnometodologia. Ma non ho bisogno di un bambino per questo: basta un qualsiasi straniero, un leghista, o, se proprio avete la passione per la gente non autosufficiente, anche un minorato mentale può andare al caso vostro.
La mia domanda è: non è molto, molto più divertente, interessante, "istruttivo", profondo frequentare una persona adulta che ha la capacità di uscire dal mondo per osservarne clinicamente l'ovvio, piuttosto che frequentare un bambino che è semplicemente ignorante?
No ma i bambini sono tanto teneri, mi direte. Sì, sono programmati per essere teneri e noi siamo programmati per riconoscerne la tenerezza; ma sono teneri per 5 minuti, al sesto stanno rompendo i coglioni. Perché anche gli animali sono teneri: fai loro due carezze e morta lì. I bambini no, li devi ascoltare: e inevitabilmente parlano di stronzate, perché, ricordiamolo, sono ignoranti. Non puoi parlare con loro di un film, di un libro - ma che dico, nemmeno del tempo.
E invece di riconoscere umilmente la loro totale inutilità, e quindi tacere, sono abituati a essere al centro dell'attenzione, e parlano, e raccontano, e a volte pure vogliono giocare con te.

Cioè intendiamoci, se il figlio di qualche amico o parente mi si appiccica e vuole parlare con me, io non è che reagisco pugnalandolo agli occhi, ci sto anche. Non sono molto brava, ma ci posso stare. Posso anche trovare piacevole la creatura in sé, riconoscerle intelligenza, simpatia, buon carattere. Ma dopo mezz'ora mi sto già dicendo Che stress, ma perché non la portano via e mi lasciano parlare con uno della mia specie? Ma ciò non accade, perché la gente suppone che io, in quanto femmina ormai dell'età appropriata a ingrossare la mia panza e le fila dei servi del Signore, adori disquisire di cagnolini, gormiti, amichetti dell'asilo o "quella volta che abbiamo preso il treno". Perdio, perché dovrei essere interessata a tale compagnia?
Beh, perché i bambini piacciono a tutti - no? Certo: e anche i Cesaroni e i film di Vanzina incontrano un grande successo se è per questo.

Sì, esatto: questo post nasce dall'esaurimento in me prodotto da 5 giorni di convivenza con un quattrenne, e dalla consapevolezza che me ne restano altri 11. No, il quattrenne è al sicuro, non preoccupatevi: mi sfogo su di voi apposta. Nessun Gormito o pallina-astronave del cazzo è stato danneggiato per la stesura di questo post.

lunedì 4 maggio 2009

sprecati

Voglio sottolineare una cosa a cui tengo potrà sembrare banale. Ma i ragazzi che hanno visto non hanno proprio fatto nulla siamo state noi, sei ragazze, che abbiamo preso in mano la situazione per aiutare lei. Non voglio fare l'eroina. Ma c'era gente che rideva vedendo loro due. Anche noi, è vero non abbiamo realizzato subito. Lei stava male era priva di sensi pensavamo la stesse aiutando. Quando piano piano ci siamo avvicinate.
E' stato bruttissimo e se non fosse stato per la polizia a quest'ora quella merda di uomo sarebbe ancora in giro.
A me non interessa se sia di un altro paese. Le violenze avvengono anche nelle nostre mura mi ha schifata la gente che andava a caso per picchiare. Per puro divertimento e sfogo delle frustrazioni che hanno dentro. Vigliacchi e basta artefici con le loro mani di tutta questa merda. Loro e lui. Di violenze, aggressioni... portano contenti in mano una busta e l'altra pronta con le schede... Gente strafatta senza un senso, una morale. Per non parlare delle amiche della ragazza che hanno dubitato fino alla fine del fatto espressamente accaduto. Mi fa schifo pensare che noi giovani che abbiamo in pugno il mondo non sappiamo trovare i mezzi per gestirlo. Dove cazzo finiremo ?
Portandoti con te una violenza del genere cosa mai potrai pensare? Di chi ti fidi poi?
Mi piange il cuore per la ragazza ma per noi ragazzi giovani giovanissimi che ci stiamo perdendo cosi, sprecati. Mi piange il cuore credere che non ci sia bene nemmeno per noi stessi.


Anonima, su http://lombardia.indymedia.org/node/17089?page=1

domenica 3 maggio 2009

MayDay, mutanti urbani e gente stronza

Se scrivo, è solo perché non vedo da nessun'altra parte la stessa cosa che vorrei scrivere io, già scritta e quindi sicuramente scritta meglio.
Passano notizie, commenti, fatti, e mi ritrovo a esclamare cose, che sono sempre da sola a pensare, almeno nella cerchia blogosferica/internettiana che conosco (che non è nemmeno tanto ristretta, visto le ore che perdo a leggervi tutti). Sono le volte che penso: beh, è un peccato non scriverci un post, su questa cosa. Di solito vince il partito "che sbatta" e non se ne fa niente, ma oggi ho studiato abbastanza e voglio premiarmi.

Sono abbastanza vecchia da aver visto nascere il movimento Chainworkers, San Precario e tutto l'ambaradàn. E' un movimento per cui ho subito avuto simpatia, perché mi sembrava che davvero fosse l'unico in grado di cogliere un disagio del mondo del lavoro che nessuna organizzazione sindacale e nessun partito voleva vedere e affrontare, coglierlo e interpretarlo secondo coordinate e parole nuove. Il precariato è una condizione trasversale ma che ha il potere di evidenziare, come nel famoso liquido di contrasto che vedo sempre nei telefilm stupidi che piacciono a me, condizioni socioeconomiche di base che attengono alla sfera culturale di un paese: l'essere donna, l'essere straniero, l'essere transessuale, ma anche questioni come le periferie urbane, l'abbandono scolastico, condizioni famigliari non previste (cioè in pratica tutte: madri sole, conviventi invisibili, padri divorziati ecc). Mi piacevano le loro tattiche di lotta, il loro sforzo per inventare nuovi metodi che non fossero quelli creati per altri lavoratori e interdetti ai nuovi: sabotaggi, subvertising, uso creativo e intelligente della rete (vedi Molleindustria) eccetera.

Non ero mai andata a una MayDay Parade, però, fino all'anno scorso. Devo dire che è l'unica manifestazione a cui mi sono realmente divertita, ultimamente - anche perché l'ho guardata da fuori ridendo come un'idiota della gente assurda che passava. Sì, voglio dire, è difficile diciamo identificarsi, o anche solo fare un ragionamento di carattere politico di un corteo come quello, composto per il 50% (voglio essere generosa) da stonati totali che si dimenano in gruppo dietro a camion che non appartengono né a movimenti né a centri sociali, privi di qualunque striscione o simbolo di appartenenza, e che dai volantini che lanciano sembrano appartenere a locali e discoteche dell'hinterland. Infatti buona parte della musica che si sente è l'house duro e puro di Rozzano, e le facce (i muscoli, gli occhiali, le canottiere, le panze) sono quelle lì.
Rispetto all'anno scorso, quest'anno la percentuale di discotecari sembrava pure aumentata, il numero di striscioni ridotto all'osso, sempre meno sigle e associazioni. Certo, c'era il carro degli organizzatori, il risciò di Serpica Naro (...), il camion degli intellettuali (studenti e precari della ricerca), un gruppetto sfigatissimo di precari dei call center dietro a un Doblò, un centro sociale, militanti vecchi di sigle ottocentesche, sindacati di base, un'associazione di inquilini di case occupate (?), apparentemente degli squatters. Ma era poca la gente che radunavano, minimo il loro impatto: è stato letto il comunicato stampa diffuso nei giorni precedenti, ridotti all'osso gli slogan e i cori (il grado zero, per dire).
Si ballava.
Si ballava e si ballava, si beveva come otri e ci si stonava come campane.

In un'atmosfera di stanchezza come non ne ricordo. Non c'era allegria, non c'era gioioso cazzeggio, non c'era ggiovane rabbia felice di essere tale, non c'era vitalico sfogo contro il mondo brutto e cattivo: non c'era nulla, tranne il ballo.
C'erano i discotecari truzzi, il cui comportamento meriterebbe sul serio di essere studiato dai miei colleghi. La cosa che più mi affascina sono i loro criteri estetici. I ragazzi palestrati, oliati, tirati fino a strapparsi, mezzi nudi, si piacciono a tal punto che vorrebbero leccarsi. Ballano con tutto il corpo, sottolineando ogni parte del loro amato corpo, ancheggiando, rivolti esclusivamente al dj e ai loro amici - ballano da soli o per i loro compagni. Le ragazze impresentabili: panza di fuori, sgraziate, volgari, sembrano ballare non per piacere ma per dovere, per cercare l'attenzione dei maschi, per meritare un loro sguardo - sguardo che raramente, molto raramente ricevono.
Con la musica ipnotica i ballerini cambiano: molto più stonati, molto più puzzolenti, potremmo dire più "alternativi" o anche semplicemente appena scappati dal manicomio. I ragazzi stanno dietro il camion, cercando di fottere con gli altoparlanti; le ragazze cercano di mettersi tra loro e gli altoparlanti per avere la loro dose di movimento pelvico, ma la loro presenza o assenza non sembra venire particolarmente notata.
Intorno a piazza Cordusio si poteva fare un conto dei feriti in battaglia: un paio d'ore di birra a 1,50€, vodka a 3€ e droghe in quantità inimmaginabili aveva trasformato i manifestanti in fabbriche di urina e vomito. I vigili erano appostati nei vicoli, per evitare che gli animali cagassero per strada - dopotutto è pur sempre il centro di Milano, che diamine. Intorno a Lanza già c'erano un paio di tizi sdraiati sui marciapiedi, e di quello che c'era a Parco Sempione sarebbe stato bello non dover parlare.

Sì, sono arrivata al motivo del post, eccomi qui.
Questo blog è a favore delle droghe, dell'abbassamento dell'inibizione e dell'apertura delle porte della percezione. Ballare stonati come cammelli è una cosa molto divertente, prendere sostanze che rendano felici è una cosa molto bella. Autodistruggersi è un'altra cosa - questo blog è anche a favore dell'autodistruzione, ma non è questo il punto; autodistruggersi è contrario a ballare in compagnia, perché si balla in compagnia di amici, e gli amici solitamente sono lì per evitarci di stare male.
Così, quando vedo una persona che sta male, una persona che non si regge in piedi, che sviene su un'aiuola, che si vomita sulle scarpe, mi chiedo: dove sono i suoi amici? Perché non sono con lui, perché non lo stanno aiutando?
Non lo aiutano perché va bene quella cosa, va bene stare male, bere fino a vomitare, prendere droghe fino a crollare svenuti. Va bene, fa parte della festa, fa parte dell'essere alternativi, fa parte del divertimento. Va bene stare da soli, va bene che i tuoi amici se ne battano il belino di dove sei e come stai, perché cioè siamo sgamati, siamo gente di strada, siamo giovani scapestrati e liberi, mica dobbiamo stare qui a farti da balia no? Se non sei in grado, meglio che impari in fretta. E poi cioè, hai presente quante storie simpatiche potrai raccontare di quella volta che eri così fatto che non sapevi nemmeno parlare e hai beccato quei tipi oh troppo fuori che stavano messi peggio di te e uno aveva un bottiglione che non ci crederai siamo stati lì in mezzo a tutta la gente che passava e a un certo punto un cane tra un po' mi pisciava addosso, oh pazzesco, ti giuro manco me ne stavo accorgendo, abbiamo riso per delle ore non riuscivamo a smettere, poi siamo andati insieme a cercare sigarette e oh le figure di merda, come ci guardavano tutti, poi non ricordo mi sono steso da qualche parte e al risveglio ho cercato gli altri, i bastardoni manco uno squillo eh, e niente, siamo tornati, che il viaggio è stata un'altra avventura che poi ti racconto, comunque l'anno prossimo devi troppo venire anche te.

Quando ieri sera ho letto la notizia dello stupro di una ragazza al Parco Sempione, alla fine del corteo, non ho potuto evitare di pensare che magari quella ragazza l'avevo pure vista. Poteva essere la bionda, quella che cercava di alzarsi ma continuava a cadere a faccia in giù vicino al cespuglio - il cespuglio dove la gente andava a pisciare, e per entrarci camminava vicino alla sua testa, completamente incurante. Dov'erano i suoi amici? Non saprei, forse appena più in là. A un certo punto un signore l'ha aiutata a sollevarsi e l'ha messa a sedere su una panchina, almeno lì non rischiava di farsi calpestare. Ma lei stava troppo male, seduta non sembrava starci bene, quando siamo tornati a guardare dalla sua parte era già in piedi, con le braccia intorno allo stomaco, che si stava incamminando non so verso dove.

Oggi le Femministe a Sud hanno pubblicato un post sul comunicato rilasciato dagli organizzatori della MayDay, che ovviamente vi invito a leggere qui. Ne cito due brani:
Questo ci sembra uno dei nostri problemi: la quasi totale assenza di riflessione su violenze e sessismo che sono certamente dentro o attraversano i nostri spazi durante occasioni in cui l'adesione al motivo politico che le caratterizza spesso non è esattamente la caratteristica centrale di chi vi partecipa. Se non si riflette su ciò che avviene nei "nostri" spazi non si può certo cogliere con chiarezza l'entità del problema all'esterno.
(...)
Ogni luogo, ogni centro sociale, ogni spazio si interroghi e chieda alle compagne se si sentono davvero “libere”, se subiscono o meno atti sessisti, se il machismo è gradito o no, se non va rimesso in discussione un particolare modello di mascolinità a partire dai luoghi che frequentiamo. Ognun@ ha il dovere di fare diventare la violenza maschile contro le donne una priorità politica tanto quanto la Palestina, i migranti, il lavoro, il fascismo e tutto quello che ci/vi interessa. Non sono cose di donne. Sono cose che interessano tutte e tutti.


Non solo non c'è riflessione su violenza e sessismo: non c'è riflessione sulla solidarietà tra "compagni", compagni di manifestazione, di lotta, di corteo, di viaggio in treno, di occupazione. Ho sempre visto, nei centri sociali, questa freddezza, questa stronzaggine estrema. Luoghi chiusi, ermeticamente chiusi, nei quali se non conosci il capobranco, se non ti fai vedere spalla a spalla con quelli giusti, puoi abbandonare la speranza di essere accettato. Luoghi senza gentilezza, senza umanità; luoghi che ho abbandonato perché ho sempre pensato che se non sei capace di guardarmi negli occhi e sorridermi quando ti sto davanti, se non sei capace di essere accogliente con il prossimo, non posso credere che tu sia capace di solidarizzare davvero con i popoli sfigati dall'altra parte del mondo, o i migranti della tua città, o gli operai del quartiere vicino. Non ci credo, mi spiace.

E c'è un'altra questione, altrettanto importante. Quegli altri ragazzi, i discotecari, quelli che dal punto di vista dei militanti si sono "imbucati" nella festa dei precari, i truzzoni delle periferie: quei ragazzi, chi sono? Erano tantissimi, sono tantissimi, sono senz'altro la maggioranza dei ragazzi della loro generazione: chi diamine sono? Perché non frega a nessuno di loro? Non ai sociologi, che li snobbano perché non sono abbastanza marginalizzati da rendere cool occuparsi di loro, e non sono abbastanza indie perché sia cool riconoscersi in loro; non ai militanti, che li snobbano perché ignoranti e berlusconiani, massa senza cervello plasmata dalla televisione; non agli intellettuali, che cantano e filmano sfigati scoliotici e creativi, o miserabili dalle vite tragiche; non a noi, i blogosferici, perché non stanno nel web 2.0 e chi non sta nel web 2.0 è come se non esistesse; chi mai si occuperà di loro?
C'è qualcuno che sa cosa provano, di cosa hanno paura, cosa desiderano, come passano le giornate? C'è qualcuno che tiene a loro, che tenta di raggiungerli e di comprenderli?
Penso che la risposta sia "no". E ciò mi addolora e mi spaventa. Una generazione abbandonata, che cresce come può, da sola, e con cui non potremo per molto tempo ancora fingere di non avere nulla a che fare.


(questo post non sarebbe stato possibile senza il farmacista di fiducia di John Congleton, che ringraziamo)

domenica 22 marzo 2009

The Watchmen delusion

Qualche settimana fa ho visto un film bellissimo: Revolutionary Road.
Sono entrata in sala con le peggiori aspettative e quattro valigie di pregiudizi. Perché? Perché ho amato immensamente il libro, che è un libro amaro e quindi non facile. Perché il regista, Sam Mendes, è quello di American Beauty, che sì, ho adorato alla sua uscita, ma ero tanto più giovane di adesso e ne capivo ancor meno di cinema, e a ripensarci ora si trattava di un film ammiccante, piatto, che si scriveva da sé. Perché sì, amo alla follia sia Kate Winslet che Leonardo di Caprio, li ritengo degli attori fenomenali, guarderei qualsiasi film in cui essi recitano, ma, mi chiedevo, avrebbero avuto (loro o i loro agenti) il coraggio di interpretare dei personaggi così poco, come dire, simpatici, con i quali nessuno si vorrebbe identificare, così vuoti e persi? E in ultimo, i produttori avrebbero scommesso sul fatto che il pubblico avrebbe premiato un film senza happy end, ma anche senza happy iniz, insomma un film in cui la vita è una merda sostanzialmente perché *tu* sei una merda?

Revolutionary Road, invece, è un film perfetto. Regista e sceneggiatori hanno capito il libro, hanno capito cosa bisognava togliere e cambiare per renderle la storia adatta al linguaggio cinematografico, hanno tolto il punto di vista di Frank (il suo monologo interiore) per lasciare che esitazioni, meschine strategie, ripensamenti si mostrassero nell'azione. Hanno scelto di non usare per il film momenti per me importantissimi (nel libro) - come la confessione di April, tutta la parte sul padre di Frank, nonché il flashback autobiografico del vicino (personaggio secondo me tra i migliori, tra i più originali usciti da una penna statunitense) - perché era giusto così, perché nel film sarebbero stati inutili. Hanno saputo scegliere le scene importanti, e le hanno valorizzate.
Oltretutto i responsabili del casting sono stati dei maghi, e il loro lavoro è esemplificato dalla scelta del tremendo Michael Shannon, già protagonista di Bug di Friedkin, per il personaggio del figlio dell'agente immobiliare, lasciandolgi la possibilità di dare il meglio di sé, con il risultato di rendere alla perfezione il superficiale rapporto che ha con la malattia mentale chi si bea di sentirsi emarginato ma non lo è affatto.
In ultimo, Winslet e Di Caprio sono stati immensi, mostrando smorfie, rughe, stanchezza, cattiveria, lacrime, fallimento.
I pregiudizi, davanti a un film bello come questo, si dissolvono ai primi minuti di proiezione.

Avevo molti pregiudizi intorno a Watchmen. Il trailer, tutto al ralenti, mi aveva fatto venire l'orticaria, e mi aveva rivelato, di sfuggita, scelte di casting davvero inspiegabili.
I tanto osannati titoli di inizio, con la pessima, pessima scelta di "Times they are a-changing" (ironica a quanto pare, ma in mano a Snyder anche l'ironia risulta greve) e quella perla di Silhouette che limona duro con l'infermiera (...), mi avevano confermato - dato che tutto il mondo li giudicava il momento migliore del film - che Watchmen sarebbe stata una cagata immane.

Diciamolo subito: non è brutto quanto pensavo. Vero è che io pensavo che sarebbe stato una roba alla Uwe Boll.
Vorrei spiegare perché questo film è molto brutto. Purtroppo dovrò far ricorso a millemila spoiler per farlo, dato che è impossibile, per me che non sono del mestiere, fare una recensione senza esempi. Ma devo farlo, perché non sopporto chi si limita a scrivere "E' bello perché è perfetto così e se non l'avete capito boh o siete snob o al massimo de gustibus". Giudizi del genere non servono a nulla, né a chi scrive né a chi legge. Ok il rispetto per le opinioni altrui, ma le opinioni non crescono né si formano senza discussione.

Questo film è noioso e confuso. Chi conosce il fumetto riuscirà, con fastidio, a ricostruire cosa accade sullo schermo. Per chi non conosce il fumetto, il 60% della storia apparirà completamente insensata. Fin dall'inizio, non si capisce nemmeno cosa sia questo Keene Act. Oddio, certo, si capisce che è una legge contro i supereroi in costume: sì, ma da dove esce? Motivata da chi, da quali posizioni politiche e da quali argomentazioni pubbliche? Boh. Chi ha un po' di letture di supereroi alle spalle, conosce benissimo la retorica "antisupereroe" che attraversa tutto l'universo dei comics, fino a sfociare nella recentissima "Civil War"; chi non ha queste letture alle spalle, no. Quindi Snyder si fa cinque minuti di seghe seppiate coi titoli di coda, citando i Minutemen originali e quant'altro (cosa, ripeto, che lo spettatore non fumettarolo non avvertirà nemmeno) però non spreca mezzo secondo a darci un quadro di cosa la gente pensa dei supereroi, cosa è accaduto, come i supereroi pensano se stessi.
L'iniziale dialogo tra Nite Owl 1 e Nite Owl 2 è, per esempio, completamente inutile: non riassume gli eventi del passato (l'hanno già fatto i titoli), introduce un personaggio che subito dimenticheremo, e non dice nulla di uno degli assi portanti dell'opera: il rapporto tra la vecchia concezione del supereroe e l'irruzione dell'ultrauomo divino, ossia il Dottor Manhattan.

In pratica, tutto gira attorno a una minaccia nucleare della madonna di cui tutti hanno una paura del diavolo, giusto? Ora, ditemi quando e dove c'è paura.
Ci sono due titoli di giornali (didascalicissimus), Nixon con un naso incomprensibile (sembra Steve Martin in "Roxanne") che dice "Passiamo a DEFCON 2" a un consigliere che (così capiamo meglio che si tratta di nucleare...); infine c'è Nite Owl 2, angosciato dalla sua impotenza, che dice "Non voglio più aver paura della guerra". Fine.
L'unico vero movente dell'azione è così sottotono, così lasciato in disparte, che veramente potrebbe sfuggire alla maggior parte degli spettatori.
In compenso, ci sono tante di quelle scene inutili che è difficile tenere il conto. Già abbiamo detto di NIte Owl 1; poi c'è l'interminabile rivolta della prigione, scontatissima nel suo ricalcare lo stereotipo da telefilm; la scena in cui Nite Owl 2 e Silk Spectre 2 scopano nel modo meno passionale, meno romantico, meno intenso, meno sensuale che ci si può immaginare... Ma la perla è la rissa (al ralenti!) tra i due piccioncini e i cattivi dei caruggi, inutile e sgradevole nella sua violenta: sangue che spruzza, ossa spezzate, viscere, morti dolorose... Uno spettacolo del tutto fuori contesto. Ma quali supereroi "buoni" al mondo (Punitore a parte) maciullano in un modo tanto lento e crudele? No, non me ne ricordo nessuno. E' stata una visione fastidiosa anche per me che amo l'horror e la settimana scorsa ho visto una donna scorticata viva da capo a piedi: ma se in "Martyrs" lo "splatter", per così dire, era più che contestualizzati, era *artistico*, qui invece tali scene sono state girate in tal modo solo per poter dire e far dire: "Ehi, guarda quanta azione c'è in 'sto film!".
La stessa "azione" che motiva una delle scene più ridicole del film, ossia l'infantile scaramuccia tra Nite Owl 2 e Rorschach contro Ozymandias (al ralenti).

Le scelte musicali sono pietose. Non parlo del tema della colonna sonora ovviamente, ma proprio delle canzoni. Sono fuori luogo e rivelano l'incomprensione e della scena e della canzone in sé. L'unica che mi è piaciuta è stata la scelta di Philip Glass come accompagnamento della storia del Dr Manhattan.
Ecco, il Dr Manhattan... Madò, questa recensione è davvero difficile da scrivere! E' così sbagliato quel personaggio che non si sa da dove iniziare. I suoi "poteri" sono affrontati in modo semplicistico, la sua psicologia ridotta ai minimi termini. Il modo in cui percepisce il tempo e la materia sono raccontati con una superficialità degna di Quark, e la sua personalità è ridotta ai minimi termini, schiacciandolo sullo stereotipo dell'alieno incapace di sentimenti.
Vogliamo passare a Ozymandias? Un uomo con la testa MINUSCOLA e una faccia da stronzo vendicativo che pretende di fare l'eroe buono? Dio, appena lo vedi sai già che farà qualcosa di orribile - ma è ovvio, guardagli la faccia! Veidt dovrebbe essere un essere umano benedetto da un intelligenza (e una volontà) superiore che l'ha portato a essere, con l'allenamento e lo studio, superiore in ogni campo. Dovrebbe essere alto, prestante, bellissimo, avere un volto sereno, lineamenti regolari, ispirare fiducia e autorità senza nemmeno muovere un dito. L'attore scelto per impersonarlo, invece, avrebbe dato il meglio di sé se scritturato nel ruolo di Vermilinguo: un infido nanetto con troppi muscoli e troppa ambizione.
Poi: la voce fuori campo di Rorschach è insopportabile. Non dà alcun senso di paranoia o di oppressione, non è la Cassandra della catastrofe, ma la ripetizione dell'ovvietà: noioso, pesante e didascalico. La città che odia e teme Rorschach manco la vediamo: dov'è questo sudiciume, dov'è questa corruzione? In una troia che lo insulta a muzzo? Ma si vada, Snyder, a recuperare "Batman Begins", si vada a riguardare Gotham, impari come si fa a ritrarre, senza sottotitoli e voci fuori campo, cos'è il terrore della metropoli, com'è fatta una città che toglie il fiato dall'angoscia e dalla paura.
Silk Spectre 2 - e ho finito - è sufficientemente insipida. Certo, non passa la sua inadeguatezza, non passa il fatto che a lei della giustizia notturna, dei combattimenti, dell'essere una supereroina in fondo non glien'è mai fregato una cippa, e l'ha fatto solo per sua madre. Ma queste sono sottigliezze davvero, in questo mare di disastri.

La "soluzione finale" ideata da Moore era veramente fantascientifica. Era veramente una roba che avrebbe sconvolto il mondo al punto da far risultare nulli i conflitti antecedenti e inaugurare un'epoca di pace e stabilità. Era veramente una roba fuori dalla grazia di dio. Certo, era infilmabile (eh, lo so, Jack. ce n'erano, qui, di cose infilmabili: eppure te ne sei fregato). Snyder l'ha sostituita con un piano che fa acqua da tutte le parti. Non si capisce affatto perché la Russia debba far pace con gli U.S.A. dopo che un'arma degli statunitensi è sfuggita loro di mano causando catastrofe. Ma siamo folli? Nella realtà, i russi - facendo finta che avrebbero creduto a questa versione e non avrebbero invece pensato a una malvagia strategia americana - dicevo, i russi si sarebbero incazzati e si sarebbero vendicati con millemila bombe: se la colpa è del supersoldato americano vanno puniti gli americani, no? No, nell'universo di Snyder il fatto che il supersoldato sia sì statunitense, ma blu, evidentemente basta a far sì che i russi non lo giudichino figlio della grande America e invece di incazzarsi come iene divengano concilianti e razionali.

A questo punto uno dice:"Eh ma che dici, il film è fedelissimo, il 90% delle scene sono sputate a vignette del fumetto!"; sì tesoro, le scenografie sono perfette. Ma questo non significa nulla, se poi dimostri di non aver capito il senso.
Il senso è il grande problema di Watchmen.
Io ho letto il fumetto tre volte. La prima: "Ehi, belin, figatissima". Poi mi è stato detto: sì ma hai guardato le tavole? Ti sei resa conto dell'importanza della griglia, dei rimandi di forme e di colori, del fatto che una pagina può essere letta passando da una vignetta all'altra con un percorso a zeta o circolare orario o antiorario? E io: ops. Così l'ho riletto. E l'ho riletto una volta ancora.
E ancora oggi, non posso che ammettere che no, non ho capito tutto quanto c'è in Watchmen. Per molti motivi, tra cui almeno uno che un po' mi scagiona: l'ho letto venti anni dopo la sua nascita. L'ho letto dopo aver letto l'intero Sandman. L'ho letto dopo che, in "Authority", Ellis crea un pseudo-Superman e uno pseudo-Batman gay innamorati l'uno dell'altro (e che, sotto Millar, adotteranno e cresceranno una bambina). Avete capito, immagino. L'ho letto quando i supereroi erano già diventati postmoderni, diciamo - o comunque quando erano già diventati a me contemporanei. Non potrò mai capire l'impatto che Watchmen ha avuto sui lettori e in generale sul fenomeno "comics". (Stephen King ha scritto che non capiremo mai "Dracula" di Bram Stoker se non ci renderemo conto che gli eventi che raccontava erano contemporanei ai suoi lettori: egli aveva portato in mostro in città, aveva portato il male nelle loro case, nella loro vita quotidiana. per noi, "Dracula" è un romanzo gotico, e tuttora facciamo l'errore di pensare ai "veri" vampiri come a esseri incipriati e raffinati, usciti dritti dall'Ottocento.)
Per riuscire a fare realmente un omaggio, per riuscire realmente a "farlo uguale", Snyder doveva tener conto di questo. Doveva riportare la portata rivoluzionaria, la complessità grafica, l'amarezza e la disperanza di Watchmen ai giorni nostri. Non l'ha fatto. Ha pensato che bastasse costruire due fondali, mettere gli attori nelle stesse posizioni e utilizzare le stesse linee di dialogo per riportare magicamente lo spirito di quell'opera; e ciò che ha ottenuto è un polpettone noioso, incomprensibile e al ralenti.

Mi fermo qui perché in realtà lo stupore e il fastidio che mi porto dietro dalla visione mi spingerebbero a scrivere ancora di più. Anzi, chiedo scusa per la logorrea.
L'unica cosa che mi consola è che il film sia andato maluccio al botteghino. Certo, la cosa non significa nulla: raramente c'è corrispondenza tra successo di vendita e qualità del film, lo sappiamo bene. Però, uh, concedetemi questa piccola soddisfazione...


Link.
Watchmen Tomatometer (la versione dei critici)
Watchmen su Metacritic (idem)
una recensione positiva: Kekkoz su Memorie di un giovane cinefilo
una recensione negativa: Elvezio su Malpertuis
il parere di Bellycat in msn, copiaincollata qui

martedì 17 marzo 2009

un'altra, grazie

Un paio di settimane fa alla radio mi sono trovata ad ascoltare il conduttore chiedere un’opinione sul motivo per cui la crisi non si vede nei consumi di leisure urbano - insomma, il solito “i ristoranti son sempre pieni”. Le risposte erano di due tipi, provenienti da due tipi di persone diverse: i giovani e i non giovani. I non giovani dicevano che la gente è malata di consumismo. I giovani dicevano: ristorante? io lavoro da 10 anni come precario, la crisi non la sento perché per me la crisi c’è sempre stata, e non ho bisogno di ridurre i consumi dato che non ho nulla da consumare.
(la risposta alla domanda era ovviamente: Milano non fa testo, deficiente. questa città è piena di ricchi, te ne sei accorto ora? oppure cosa, pensi forse che qualche mese di crisi economica possa radere al suolo un’intera casta?)

C'è qualcosa che mi urta profondamente nella retorica della descrescita felice. In parte perché spesso mi sembra che nasconda una tentazione alla nostalgia del passato, l'impulso al "tornare indietro". Personalmente non ho intenzione di decrescere di un solo millimetro! Io voglio crescere un sacco, al contrario; voglio una ricerca che mi sforni tecnologie che possano coniugare benessere e sostenibilità - non voglio tornare indietro. Capisco che ad alcuni piace l'idea di tornare alla natura, di vivere in campagna eccetera: ma è un desiderio e un'inclinazione personale, trovo molto ingiusto che venga venduta come la soluzione dei buoni.
Il secondo motivo per cui mi irritano certi discorsi su consumo, riciclo, autoproduzione, è che, di nuovo, non si tratta di soluzioni ma solo di hobby mascherati. Del tipo: "Ti è piaciuto il decoupage? Unisci l’utile al dilettevole e fatti il sapone in casa, vedrai, sarà ancora più divertente". E di nuovo: preferisci usare il tuo tempo libero oziando? Fellone! Dovresti darti da fare e cucinarti le maschere per la pelle con le piante grasse!

Ma io dico: invece di produrre alternativamente delle cose, non puoi semplicemente farne a meno?
Cosa te ne frega della pelle secca? Al massimo acchiappa al volo un barattolo di crema all'hard discount, che te le tirano dietro, e bon. Tanto no, tu non vali comunque.
Idem con la menata del farsi il pane in casa e tutto il resto. Non fingete che non sia semplicemente una roba divertente da fare, non ditemi che si tratta di risparmio o qualità, vi prego. A quanto vedo coi miei occhi, un buon 80% della popolazione è in sovrappeso, da lieve a grave, il che significa che no, non abbiamo alcun bisogno della pizza casalinga, e quindi no, non si tratta di risparmio, perché ci sono poche spese superflue quanto il cibo che ingurgitiamo come otri da mattina a sera.

Ah no certo, non si può dire. Bisogna dire che ci si gode la vita, la buona tavola, che su tutto si può risparmiare ma non sul buon vino, eccetera. C'è un canone ed è comunque il canone del consumo. Se proprio non puoi permetterti il prodotto finito, procurati gli ingredienti e fattelo da te - ma per dio non farti mancare nulla: ne moriresti.

Ma la cosa che definitivamente mi fa incazzare, è la scoperta della crisi. Torno alle prime righe di questo post: la crisi per un sacco di gente, soprattutto giovani, c'è da sempre. Da quando siamo usciti dalle superiori non fate che ripeterci che non c'è posto per noi, che siamo in esubero, che abbiamo studiato troppo o troppo poco o comunque cose inutili, che non avremo la pensione, che non avremo la mutua, che non avremo il mutuo, non avremo una casa, non avremo una famiglia. Da dieci anni ormai ci prendete e ci buttate, ci fate lavorare a singhiozzo, ci licenziate senza preavviso, ci fate pagare delle tasse senza darci nulla in cambio, e ora ci venite a parlare di contratti di solidarietà, di sussidi di disoccupazione, di cose che comunque varranno solo ed esclusivamente per i lavoratori già protetti, quelli sindacalizzati, quelli delle grandi aziende, quelli che non siamo noi. Per noi, è "No future" da quando siamo nati.
E ora che voi finalmente annusate un pochettino della merda in cui viviamo, ci venite a dire di non andare a berci una birra perché "non sta bene, c'è la crisi"?

Ma andate a cagare, voi e la macchina per il pane.

giovedì 12 marzo 2009

dalla bottiglia di orzata dove galleggia Milano

Una volta in via Sestri c'era un banco dei dischi. Tipo i banchi del mercato, ma fisso, lì davanti a Bagnara - chissà se c'era già quell'aiuola dietro, o se l'hanno messa dopo - ogni sabato pomeriggio. Era di un tizio che aveva anche un negozio di dischi normale, a Rivarolo, ma via Sestri il sabato pomeriggio spacca, c'è tutto il Ponente, voi non sapete. Quindi il tizio veniva col suo banco, che era coperto da un telo verde a mo' di tetto. Era un tempo ingenuo, in cui nelle videoteche si potevano noleggiare anche i cd musicali, e il confine tra legittimo e piratato era sfumato; insomma con 'sto tizio sapevi mica cosa ti vendeva, te ne accorgevi poi una volta aperta la cassetta - senza libretto, magari, e con l'ultima canzone che finiva all'improvviso. E comunque quel tizio non mi piaceva, mi intimidiva.
(c'erano altri due negozi di dischi. uno era proprio in via Sestri e il negoziante era il perfetto prototipo del negoziante genovese stronzo, il giorno in cui ha chiuso è stato un giorno di gioia. l'altro era in via De Andrade, loro erano invece gentilissimi (magari sono piemontesi), e spero che non abbia chiuso nel frattempo ma forse sì. basta, non ci sono altri negozi di dischi a Sestri.)
Mio padre lo conosceva quel tizio della bancarella, perché era di Rivarolo e mio padre a quanto pare conosce tutti quelli di Rivarolo della sua generazione, anche se la maggior parte di loro ormai è morta di amianto o di tristezza. Così insomma ho chiesto a lui, quando è uscito, di comprarmi "Le nuvole" - e originale stavolta, perdio.
Fino al 1991 di De André avevo ascoltato solo due dischi: un'antologia (questa) e il doppio live con la PFM. Non c'erano altri suoi album in giro per casa. Quelli che poi sarebbero diventati i miei preferiti, quelli del periodo '70-'74, erano troppo intellettuali per i miei genitori, forse non li conoscevano nemmeno; e i dischi precedenti... Ecco, questo è un po' il casino quando hai dei genitori vecchi, più vecchi del normale: si sono già stufati di tutto quello che tu devi ancora scoprire. De André era roba dei loro 20 anni, si erano commossi innamorati incazzati con le sue canzoni, le avevano ballate e cantate - e 20 anni dopo ce n'avevano pieni i coglioni.
Quindi "Le nuvole" si apprestava a diventare il primo disco di De André tutto mio. Ed era un disco difficile ma anche goliardico - disomogeneo, avrei potuto dire se avessi conosciuto quel termine - che conteneva canzoni a me incomprensibili (o perché in dialetto, o per il testo troppo poetico o infarcito di citazioni a me fumose). L'ho ascoltato tantissimo. Con diffidenza, con entusiasmo, con ostilità e con timidezza, l'ho ascoltato tantissimo. Quelle di 'Â çímma sono state le prime parole in "vero" genovese che ho imparato.
In "Le nuvole" c'è La domenica delle salme.



Ero in prima liceo, quindi si parla del '96 penso, quando il mio professore di greco non so a che proposito accennò a "Le nuvole" come al peggiore di De André. Io reagii indignata affermando che si trattava di un disco bellissimo, anche se non ne ero proprio certa - ma era il *mio* disco, che diavolo. Lui rispose, con sufficienza, che i dischi precedenti erano molto più belli. Fu la prima delle innumerevoli volte che qualcuno mi diceva che ciò che era accaduto prima di me era mooolto meglio. Restai senza parole, sentendomi in colpa perché non conoscevo quanto era accaduto prima di me - per la prima di innumerevoli volte. Ci rimasi così male che, poi, per anni ho ascoltato di malavoglia questo disco, quasi vergognandomene.
La gente è veramente stronza.

martedì 24 febbraio 2009

diffidate

"In generale, dubita sempre di chi sostiene “Ho capito subito che Dio non esisteva”, e in particolare di quelli che lo hanno capito alle elementari. Significa che non hanno mai messo in discussione le conclusioni che hanno raggiunto alle elementari. La loro interrogazione su Dio si è fermata al mattino in cui hanno capito che la suora raccontava una storiella. E quelli che in Dio ci credono, o che ne discutono e ne ammettono la possibilità? Dovrebbero essere tutti più deficienti di loro a nove anni – e poi lo spocchioso sarei io."
Questa è una frase che Leonardo ha scritto qualche tempo fa, in un post di “autodifesa” dalle critiche (tra le altri, le mie) di quanti non avevano apprezzato il suo post contro gli autobus dell'UAAR.
Questa frase mi ha molto colpita. Giustamente, uno dice, dato che è rivolta direttamente a me. Ma non mi ha colpita come avrebbe voluto Leonardo, dato che è un'accusa evidentemente senza senso: ci sono moltissime cose che le persone decidono o capiscono in tenera età, e ciò non pregiudica il loro normale sviluppo mentale o la loro capacità di imparare e applicare l'arte del dubbio. Se un musicista raccontasse che fin dall'età di 9 anni aveva capito che la musica era il suo destino, nessuno gli direbbe di vergognarsi per la sua assurda e spocchiosa ristrettezza mentale. Né, che so, genera scandalo dire che fin da piccoli si è sempre stati amanti degli animali/ permalosi/ omosessuali/ grandi lettori. Il fatto che una preferenza o un tratto distintivo della propria personalità si manifesti presto non significa né maggiore genuinità/purezza né minore realtà/profondità: è un dato autobiografico come un altro. Appigliarsi a questo per accusare chi non la pensa come noi di essere incapace di mettere in discussione le idee infantili mi sembra davvero fuori luogo.
Ovvio, dipende un po' dalle proprie, personalissime code di paglia. Se uno mi dicesse che fin da quando aveva 9 anni sapeva già che Tom Waits faceva cagare, credo che anch'io mi arrabbierei e cercherei di sminuire la dignità di tale precoce illuminazione!



Ho riflettutto su altri due aspetti connessi a tale frase e, quindi, a tale critica.
1. Sto forse dicendo che i credenti siano meno intelligenti di quanto io fossi a 9 anni?
Beh, mi è difficile non pensare che i bambini che sentivano le stesse storielle che propinavano a me nell'ora di religione, dovevano essere o stupidi, o distratti, o indifferenti, per non trovare assolutamente incoerenti e irrazionali tali storie.
In parte, al contrario, proclamo la mia completa ignoranza e incapacità di comprensione davanti al fenomeno del cattolicesimo. Cioè capisco il fascino delle religioni, e in alcuni casi la gioia o il sollievo che portano al fedele. Però quando si scende nel dettaglio, non riesco a immaginare come funzioni, esattamente. E questa incomprensione non posso attribuirla né a mancanza di spiritualità (sono propensa a credere che tutto il pianeta sia un'interconnessa entità mistica che canta l'ohm, e se aveste visto cosa ho visto io a spasso nei pascoli di Palenque, Messico, ne sareste convinti anche voi) né a mancanza di fantasia (vampiri, leprechaun, streghe, Grandi Antichi: io mi bevo tutto). Semplicemente non capisco come si possa pensare che questo corpo, così fragile, così esposto ai pericoli, così esposto a malattie dolorosissime e malformazioni terrificanti, abbia un qualsiasi legame con un Dio benevolo. Non capisco come si possa pensare, guardando l'Universo, a un Dio antropomorfico. Non capisco come si possa credere che Ratzinger possa, in alcune occasioni, parlare per conto di Dio, e mica da sempre (del tipo Piccolo Buddha, no), ma solo da quando i suoi colleghi l'hanno eletto al posto di quello prima che è morto. Non capisco come si possa pensare che a Dio freghi qualcosa di anticoncezionali e simili, ma contemporaneamente non capisco come si possa dire “Sono cattolico, MA - non vado in chiesa/ non mi riconosco nelle gerarchie ecclesiastiche/ non credo ai dogmi – eccetera”. Non capisco.
Io ho conosciuto molti evangelici, alcuni cattolici ferventi, molti cattolici praticanti, moltissimi cattolici non praticanti, un pastore battista, un paio di buddhisti, un Hare Krishna, e online un paio di musulmani. Ho sempre rispettato le loro convinzioni, anzi mi sono rallegrata che nella loro vita avessero qualcosa che riuscisse a “tenerli insieme” con tanta efficacia. Ma il mio rispetto e la mia simpatia non mi ha mai aiutato a capire cosa diamine gli passasse per la testa.
Penso di essere più intelligente? Penso di essere io, e solitamente sono felice di essere io e non un'altra. Ma soprattutto sono felicissima, davvero felicissima di non pensarla come loro.

2. In effetti mi capita spesso di pensare o riferirmi ai miei 9 anni. È un caso, o c'è stato qualcosa di particolare in quel momento della mia vita?
A 11 anni entravo nell'adolescenza (sì, precoce. incazzata e precoce), quindi dicevo addio alla lucidità per entrare in un mondo di rabbia, depressione, improvvisi cambiamenti d'umore, insensate passioni, ormoni e così via. A 7 anni ero ancora una bambina felice, spensierata, protetta dal male del mondo, troppo piccola per interessarmi al mondo degli adulti.
A 9 anni era già successo tutto. Mio padre era già in cassintegrazione; avevo già scoperto le differenze di classe tra me e i miei parenti, tra me e gli altri bambini, e di conseguenza avevo elaborato un'idea di "ingiustizia sociale"; avevo già sviluppato le mie prime idee e propensioni, ed erano, e mica parlo solo di religione, molto diverse (a volte radicalmente opposte) da quelle dei miei pari, per cui avevo già scoperto l'incomprensione reciproca e la solitudine interiore; il mio corpo aveva già iniziato a tradirmi, trasformandomi da graziosissima bambina in graziosissimo Vogon; ed erano già capitate alcune cose brutte che mi avevano rapita e portata in un universo parallelo in cui tutto sembrava uguale a prima, solo che ovunque si nascondeva la menzogna, la stortura, il buio.
Non posso negare che nella mia precoce decisione di lasciare la religione agli altri, tutto ciò abbia avuto la sua parte.
È stato allora che ho capito che le cose così non erano giuste ed era necessario che cambiassero radicalmente. Col passare degli anni è accaduta una roba stranissima: non è successo. Né il mondo è cambiato, né io sono cambiata in modo da adattarmi al mondo, o almeno capirlo, o almeno rendermelo indifferente. Davanti a questo colpo di scena, mi sono convinta che sarei morta presto: avevo preso la legge di Darwin molto seriamente, e quindi mi aspettavo che da un momento all'altro il mondo mi avrebbe, giustamente, fatta fuori, eliminata. Non immaginavo come, ma sapevo che sarebbe successo. Immaginavo il mondo come un organismo sano che mi rigettava, in quanto non per forza dannosa, ma come minimo incongruente.

Perciò, quando qualcuno mi chiede - magari perché se ne sente offeso personalmente (capita) - se mi sento più intelligente degli altri, mi mette in un grave imbarazzo. In parte sì, dato che credo sia comune a tutti ritenere che le proprie scelte siano migliori di quelle altrui (altrimenti, è lapalissiano, se ne farebbero di altre, o meglio si farebbero quelle di altri). Ma la base di tutto, delle mie decisioni, del mio sentire qualcosa come sciocca o come intelligente, come giusta o sbagliata, c'è questa inossidabile, invincibile convinzione di essere al posto sbagliato. Di non c'entrare nulla con il mondo, di essere anormale nel senso di patologica, di essere come la gente, per stare bene e avere successo e una vita lunga e felice, non dovrebbe essere.
Per cui, alla fine, sono pienamente d'accordo con Leonardo: diffidate di gente come me.

lunedì 9 febbraio 2009

ha fatto bene?

Arrivando via aereo in alcuni paesi, poco prima dell’atterraggio, le hostess consegnano ai passeggeri un modulo da compilare e consegnare poi a un qualche ufficio doganale. È una roba che per sfacciata idiozia gareggia solo con il nostro famoso test dei tre giorni, vantando domande del tipo “stai per caso trasportando con te dei veleni?”. Chiunque pensa: va beh, ma anche se fosse non è che te lo dico, ti pare?
Invece evidentemente sì. A quanto pare ciò che vogliamo fare è questo: DIRGLIELO.
Ora, no, tranquilli, non è un post sulla privacy, il controllo sociale, Google e i social network - il collegamento è ridondante. Stavo pensando a qualcos’altro.

La radio di cui sotto ha un intermezzo di “news”, e giuro che niente in questa settimana mi ha sconvolto di più, nemmeno le dichiarazioni di Berlusconi sull’attività mestruale della Englaro. Prima notizia: un ministro britannico esorta i suoi concittadini a darsi al ballo per scongiurare la piaga dell’obesità. Seconda notizia: intellettuali cattolici firmano una petizione a difesa di Eluana. Terza: nonostante ci siano delle irregolarità amministrative, la clinica di Udine non interromperà la procedura. Davanti a tale inaspettata faziosità la mente ha vacillato, e in quella vertigine potrei essermi persa un’altra notizia, forse due. Ultima notizia: la polizia difende il guidatore ubriaco, di nazionalità romena, che ieri ha investito e ucciso un uomo, dalla folla che voleva linciarlo. Ha fatto bene? Rispondete mandando un sms: i risultati del sondaggio saranno pubblicati domani da City, il freepress che trovate eccetera.

Ha fatto bene?

Ha fatto bene? Ascoltatore di una radio che s’intende rivolta ad amanti di un genere musicale un tempo considerato “sovversivo”, espressione di valori del tipo sesso=buono, droga=molto buono, scappare da questo posto di merda=ancora più buono, e immagina che bello se non ci fossero nazioni né religioni, in ogni caso la risposta soffia nel vento - ascoltatore, dimmi, secondo te quei poliziotti hanno fatto proprio bene bene a difendere un uomo dall’essere linciato, o potevano farsi anche un po’ i cazzi loro?

E nel caso secondo te avessero dovuto lasciare quella merda d’uomo, quell’ubriacone immigrato clandestino molto probabilmente stupratore e di certo con una notevole percentuale di sangue zingaro (o per lo meno ebreo), dicevamo, lasciare quel bastardo assassino alle unghie e ai sassi dei passanti: diccelo. Mandaci un sms. Mandaci una mail. Chiama in trasmissione all’ottonovenove. Unisciti al gruppo su Facebook, commenta la notizia nel forum dei lettori del Corriere.

Poterti smembrare coi denti e le mani/ Sapere i tuoi occhi bevuti dai cani.

La settimana scorsa s’è parlato della valanga di mail che la parlamentare dei Radicali, Rita Bernardini, ha ricevuto dopo aver fatto visita in carcere, in quanto membro di “Nessuno tocchi Caino”, agli imputati dello stupro di Guidonia. fai veramente schifo, ti auguro di essere stuprata da un branco di merde come quelle li, ma magari ti piace perche a quanto sei brutta e fai schifo non ti scopa nessuno troia del cazzo, ti auguro pure che ti venga un tumore al cervello (se possibile visto che materia grigia non ne hai molta), e che te ne vada quanto prima tra atroci sofferenze, pregheremo tutti perchè tu muoia. Spero tanto che un Rumeno ti stupri a morte la figlia. a te piacerebbe non poco essere violentata da sei rumani, lurida che non sei altro, peccato che cesso come sei nemmeno i rumeni ti sfiorerebbero! Se qualcuno avesse lo stomaco di stuprare un rospo come te, vado personalmente a complimentarmi per il coraggio!!! "Bernardini "che si interroga sul maltrattamento delle " bestie stupratori" di Guidogna..dovrebbe subire PARI STUPRO ai danni di un suo caro (a lei no pearchè potrebbe essere oggetto di piacere)..
Lo stupro nella doppia funzione di punizione e di dono. Sei una donna, quindi se ti devo augurare un male penso “ti stuprassero”. M’indigno per lo stupro di una donna e quest’indignazione la esprimo augurando a un’altra donna di subire la stessa sorte; la verità è che non me ne importa una sega di quella donna (la prima), né penso che lo stupro in sé sia particolarmente grave, è QUELLO stupro (il primo) che non mi va giù, e il motivo è squisitamente antropologico: degli stranieri hanno rubato ciò che è mio, mi sono entrati in casa e hanno cagato sul mio letto, ed è questa e solo questa la violazione a cui reagisco.
Va beh, ma queste cose le dice molto meglio di me FikaSicula, quindi abbonatevi al feed del suo blog e perdonatemi per questo sfogo. Sto parlando della parlamentare per un’altra ragione che non è la fenomenologia dell’italico stupro: per il fatto che le mail siano firmate.

Di questa faccenda non riesco proprio a liberarmi. Il nome e cognome, le foto del profilo. “crepa puttana di merda”: non è un pensiero di cui mi vergogno, che mi compare sullo schermo mentale all’improvviso e che subito reprimo. No, rivendico il mio odio, la mio violenza: ci metto la firma, ci metto nome e cognome, lo dico a tutti, inoltro agli amici la mail di insulti e minacce che ti ho scritto, invito i miei colleghi ad aderire alla mia azione, e ne parlerò stasera in famiglia. Sputare così, senza alcuna esitazione, sul contratto sociale, sulla mediazione dello stato tra lupo e lupo, sulla concezione moderna del reato come ferita inflitta alla società e non come questione privata e della punizione come risarcimento sociale e non come vendetta personale.
È come se la società avesse perso ogni funzione e ogni realtà. Perché stiamo ancora insieme, se non riconosciamo più alcuna utilità, alcuna rappresentatività alla forma sociale - lo Stato nazionale democratico - che negli ultimi secoli ha dato forma alla nostra esperienza del vivere comune?
Non è un problema di globalizzazione. Io rigetto le soluzioni cosmopolitiche, alla Beck, al tramonto dello Stato nazionale; non penso che la soluzione sia semplicemente allargare lo stampino mettendoci dentro una porzione di territorio più vasto. La nostra cittadinanza è fondata sull’esclusione (dei non-cittadini, of course) e inevitabilmente eliminando quell’esclusione elimineremo la cittadinanza; la nostra democrazia è modellata sulla nazione, ed eliminando la nazione elimineremo la democrazia; eccetera. Questi erano problemi di cui si è dibattuto alla nausea quando era in voga il comunitarismo, mentre ora che di moda è il cosmopolitismo non ne parla più nessuno. Ma il maledetto Stato ci si sta disintegrando sotto gli occhi, si stanno disintegrando le premesse normative e morali del vivere sociale. Io vedo soltanto persone (e movimenti) che rifiutano la società, a partire dalle posizioni più diverse: tecno-utopie di individualismi connessi in rete, integralismi teocratici, post-fascismo, senza dimenticare le nostre care orde di xenofobi tarantolati. Molti, moltissimi di coloro che invece difendono la forma tradizionale dello Stato, con le sue istituzioni, mi sembrano farlo per un riflesso condizionato, per un automatismo dettato niente più che dalla percezione della propria posizione in un gioco di contrapposizioni che intende la politica come scelta tra vasca e doccia.

Mi sa che mi sono fatta prendere la mano, eh? Diciamo pure che se passerà di qui qualcuno a spiegarmi che ho scritto solo grosse e fragorose cazzate ne sarò molto contenta, dato che ora sono solo molto preoccupata. Ma non perché lo Stato o la democrazia mi piacessero, bensì perché non mi sembra che abbiamo raggiunto uno stadio di evoluzione (politica, filosofica, e personale, e spirituale, o addirittura biologica) per cui il passaggio a un’altra forma di organizzazione sociale si configuri come una liberazione. A me, ora, sembra portare solo caos e barbarie: violenza privata e pubblica, annichilimento dell’altro, discrezionalità di ciò che chiamavamo “diritti”, insomma l’annullamento delle conquiste sociali dello step precedente in nessun modo compensate da altre (maggiori o diverse) conquiste.

Oh beh, sì: buon lunedì anche a voi.

venerdì 30 gennaio 2009

Peter Cushing does that all the time.

Nell’ultima settimana ho avuto un sacco di febbre, ho ascoltato tantissima radio e ho letto tre libri molto belli. La sinergia tra queste tre attività mi ha creato una notevole confusione mentale, devo dire, tanto più che due dei libri erano degli horror (La scomparsa dell’Erebus di Simmons e Lasciami entrare di Lindqvist); inoltre ogni volta che ho la febbre sento un irresistibile desiderio di rivedere Dal tramonto all’alba, giusto per completezza.
La cosa positiva è che tutto questo è accaduto in una casa dotata di un impianto di riscaldamento. Ebbene sì, pare che i lavori siano finalmente completati. Mi piacerebbe intrattenervi con il buffo dramma che li ha accompagnati, ma chiunque abbia avuto dei lavori in casa sa di che cosa potrei parlare (improvvisi funerali di nonni calabresi, parquet disposti secondo angoli lovecraftiani, pavimenti allagati, frigoriferi staccati eccetera) quindi non infierirò ricordandovi quei brutti momenti.

Ho fatto conoscenza con Virgin Radio, un emittente che si distingue per la più totale mancanza di contenuti. Non parlo di qualità, ma proprio di sostanza: è una radio in cui non succede un tubo. Mandano musica rock, preferibilmente di artisti vincolati contrattualmente con l’omonima casa discografica, un po’ di pubblicità e un paio d’ore di “trasmissioni” preregistrate. A intervalli regolari una voce recita i claim dell’emittente, tutti di insondabile significato. Per fare un esempio: “Rock Party”, cioè le ore serali di musica non-stop, ha come slogan: “L’unico party in cui puoi lasciarti andare senza perdere il controllo”. Eh? Ma niente a confronto di quello che recita: “Virgin Radio: l’unica radio con uno stile unico”. Ma cosa significa? Queste frasi sono così prive di senso che non posso evitare di credere che nascondano invece dei messaggi in codice super segreti; magari servono per risvegliare degli agenti dormienti, e quindi sono giustamente combinazioni improbabili di parole. O magari dovrei prendere meno seriamente questa storia degli Skrull.

A proposito di musica e audaci accostamenti di parole senza senso, un’esperienza indimenticabile l’ho vissuta a un falò sulla spiaggia di un sacco di anni fa. Ero in compagnia di un gruppo di amiche più grandi di me di una decina d’anni, che avevano appuntamento per una serata in riva al mare con una loro compagnia allargata, o qualcosa del genere, più o meno di coetanee. Normalmente mi sarei divertita, perché mi piace sentire suonare la chitarra, e c’è sempre qualche canzone da cantare; ma non in quell’occasione. Quella sera a quanto pare era in atto un revival della canzone italiana stupida. Non c’era un testo che riconoscessi, a parte ogni tanto qualche ritornello; e quello che mi metteva a disagio era il sentimentalismo con il quale quelle tizie sbraitavano testi più che imbarazzanti. Come se io a trent’anni suonati mi ritrovassi con un branco di rincitrullite a cantare “È la malinconoia, che uccide a quest’età” davanti a un falò a Cogoleto.
In un climax di canzoni brutte, si giunse a una di cui non riuscivo manco a cogliere la melodia: o non la sapevano suonare, o non la sapevano cantare, oppure era veramente orrenda di suo. Parlava di un ragazzo e una ragazza, ovviamente, robe di scuola e di concerti, e ogni verso finiva con degli ululati, una tortura. Finché non ho sentito ciò che ancora oggi per me rimane Il Verso Più Terribile Della Storia Della Canzone Italiana: “Lo sai che Luca si buca ancora”. Rimasi impietrita. Luca-buca? Non poteva essere vero. Solo davanti al tg4 di Emilio Fede ho provato un tale sconcerto. Quelle persone non potevano cantare accorate una stronzata del genere - avrei voluto scoppiare a ridere, ma temevo che le Baccanti mi facessero a pezzi. Luca-buca? Ma che cazzo di rima è? Al confronto cuore-amore è shakespeariana. Ma come si può scrivere una roba del genere? È come una figurina degli Sgorbions. Luca Si Buca. Donata Avariata. Clemente Mortovivente.

Anche se l'unica che vi si avvicina davvero è la sublime, insuperabile Irene-Rene. “Lo sai che Irene ha perso un rene?”. Quasi quasi lo uso, e scrivo un toccante canzone su un’adolescente anoressica. Che farò cantare alla Tatangelo, ovviamente.

sabato 3 gennaio 2009

dal fronte del freddo porco

Ok, mi sono trasferita nella casa nuova. Non so quando potrò mettere online questo post dato che sono senza connessione e l’università, a tradimento, ha deciso di rimanere chiusa fino al 6 dicembre, formalmente togliendomi ogni mezzo per lavorare ma va beh.

Il giorno prima del trasloco, cioè il 29 dicembre, vado a prendere le chiavi di casa e a farmi spiegare dall’ex inquilina alcune cose, tra cui il funzionamento della stufa a gas.
Vedi, quando il pomello è in linea con il tubo il rubinetto del gas è aperto, ok? Ora l’accendiamo... Sono due giorni che è spenta, aspetta che devo ricordarmi come si fa... Ecco: tenendo premuto questo pulsante esce il gas, senti?, e premendo quest’altro dovrebbe accend-
PUM!
La stufetta fa un’intensa fiammata e sobbalza. Vorrei dire “esplode”, perché quella è stata la nostra impressione, ma ovviamente se fosse davvero esplosa non sarei qui a scriverlo. Saremmo finite - io, l’ex inquilina, e un paio di famiglie di immigrati - in un trafiletto della cronaca locale: “Ennesimo incidente causato da una vecchia stufa a gas”. Dato che si tratta di un vecchio palazzo dell’immediata periferia di Milano, la cosa non avrebbe credo suscitato tanto scandalo, tanto più che sarebbero morti dei negri, una femminista e una dottoranda di sociologia, tutta gente che, diciamocelo, è meglio perderla che trovarla.
Il vetro protettivo è saltato via, e per casa si diffonde un odore di bruciato. Assordate dal botto e in evidente stato di shock, chiamiamo il padrone di casa, il quale il giorno dopo, mentre trasloco con il supporto di due eroiche amiche, mi fa trovare a casa un idraulico che mi spiega che rimarrò senza riscaldamento fino a metà gennaio, ma dopo spaccheranno i pavimenti rendendo inagibile la casa per 3-4 (cioè 9) giorni e mi metteranno un sacco di termosifoni. Poi mi porta una stufetta elettrica e mi augura buon 2009.
Nonostante tutto questo, dopo due intensi giorni di lavoro (mica solo miei: i mobili li ha rimontati lui, che credete), questa inizia a sembrare davvero una casa. Ma non era di questo che volevo scrivere, all’inizio.

L’ex inquilina mi ha venduto un sacco di cose, tra cui un piccolo termoventilatore. Per il bagno, davvero stretto, è efficientissimo: dopo 5 minuti ha già scaldato la stanza. Certo, consuma l’impossibile, ma è ugualmente una meraviglia. In fondo porta scritto il nome del prodotto: “Caldobagno”.
Ora, vi rendete conto? Stiamo parlando di quel Caldobagno. “Caro, sei in bagno?” “Bagno?! Caldobagno!” “Caldobagno?? Arrivo!” e si ritrovavano alle Maldive. Da piccola credevo che questo Caldobagno fosse un futuristico ritrovato di domotica, che scaldava le pareti stesse della casa, l’acqua del bagno e già che c’era pure gli asciugamani. E invece di trattava di un minuscolo termoventilatore? Una sorta di asciugacapelli da pavimento?? Ci credo che tutti negli anni Ottanta da grandi volevamo fare i pubblicitari, prima che la questione morale ci assalisse insieme alle tempeste ormonali!

Prima di salutarvi a chissà quando, una richiesta. Potreste consigliarmi delle stazioni radio, o meglio dei programmi radiofonici? Radio normali, non webradio o podcast - stazioni FM, sapete, che si sentano su Milano.
Per intenderci, il mio programma preferito, purtroppo scomparso insieme a RockFM, era Eclettica; altri che mi piacciono sono Prospettive musicali, Rotoclassica e non so come si chiama ma c’è uno con un forte accento inglese, su Radio Popolare; Alle otto della sera su Radio2, e programmi che sento casualmente su Radio1 e Radio3 (che però si sente malissimo a casa mia). Va benissimo musica classica o “difficile”, ma che ci sia qualcuno che la introduca.
Ovviamente, odio quelli simpatici e odio il reggae.
Grazie di ogni suggerimento!